La decisione della Corte d’appello: «I giudici di Taranto poco sereni, erano “parti offese”». In primo grado comminati 270 anni di carcere e disposta una confisca per 2,1 miliardi di euro. Era stato condannato anche Vendola. Bonelli (Avs): «Questa non è giustizia»
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La sezione distaccata di Taranto della Corte d'assise d'appello di Lecce ha annullato la sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto a carico di 37 imputati e tre società per il presunto disastro ambientale causato dall'ex Ilva negli anni di gestione dei Riva. È stata accolta la richiesta dei difensori di spostare il procedimento a Potenza in quanto i giudici tarantini, togati e popolari, che hanno emesso la sentenza di primo grado, sarebbero a loro volta da considerare 'parti offese' del disastro ambientale. La Corte ha disposto la trasmissione degli atti alla procura di Potenza per gli adempimenti di competenza.
In primo grado furono 26 le condanne nei confronti di dirigenti della fabbrica, manager e politici, per circa 270 anni di carcere. La Corte d'Assise stabilì sia la confisca degli impianti dell'area a caldo che la confisca per equivalente dell'illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi. La Corte d'assise d'appello presieduta dal giudice Antonio Del Coco (affiancato dal giudice Ugo Bassi e dalla giuria popolare) ha letto solo il dispositivo dell'ordinanza, mentre le motivazioni saranno depositate entro 15 giorni.
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Le condanne in primo grado
In primo grado erano stati condannati i proprietari, i dirigenti dell’azienda, i politici e qualche tecnico. L’area a caldo fu confiscata restando però utilizzabile fino alla sentenza definitiva. A vario titolo gli imputati erano accusati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni. Pene di 22 e 20 anni per i fratelli Fabio e Nicola Riva, all’ex responsabile della relazioni esterne del gruppo Girolamo Archinà 21 anni e mezzo, 21 all’ex direttore di stabilimento Luigi Capogrosso. Imprenditori, politici e uomini delle istituzioni furono messi in collegamento dalla procura tarantina. Così scattarono le condanne per l’ex presidente della Regione, Nichi Vendola, a 3 anni e mezzo di reclusione, 3 per l’ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido e per l’ex assessore provinciale all’Ambiente, Michele Conserva. Prescritti i reati per l’ex sindaco di Taranto Ezio Stefàno, per l’assessore regionale all’Agricoltura Donato Pentassuglia e per il parlamentare Nicola Fratoianni. Il consulente della Procura, Lorenzo Liberti, prese 15 anni; fu condannato a 2 anni l’ex direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, che, alla vigilia della sentenza, aveva rinunciato alla prescrizione.
Condannati a pene tra 15 e 17 anni, anche i vari “fiduciari” della proprietà che costituivano una sorta di governo ombra dal momento che non comparivano in alcun organigramma dello stabilimento tarantino. Pena di 5 anni anche per l’avvocato dell’azienda, il milanese Franco Perli, per il quale i pm avevano chiesto 7 anni. Quattro anni ad Adolfo Buffo, ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto. All’Ilva venne comminata una sanzione di 4 milioni euro, oltre alla confisca dell’area a caldo, provvedimento che diventerà efficace se confermato anche in Cassazione. Ora con il trasferimento a Potenza del procedimento penale c’è il rischio che tutto finisca in prescrizione.
Bonelli: «Questa non è giustizia»
Il primo a commentare la sentenza è Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Versi e Sinistra e portavoce di Europa Verde. «Annullata la sentenza di primo grado del processo “Ambiente Svenduto” a Taranto. Sono esterrefatto! L'inquinamento è stata un'invenzione? Morti e malattie non hanno responsabilità? Questa non è giustizia».