Concluso il processo di primo grado scaturito dall'operazione Perseo, nata dall'aggressione ad un artigiano poi trasformata in falso incidente. Pena di cinque anni per il legale Giovanni Scaramuzzino, di sette per i fratelli Trovato. Assolto il collaboratore Battista Cosentino
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Si è concluso ieri il processo di primo grado, scaturito da un'inchiesta istruita dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, nei confronti dell’avvocato Giovanni Scaramuzzino, Franco e Luigi Trovato ed il collaboratore di giustizia Battista Cosentino, imputati a vario titolo per i reati di estorsione e truffa a danno di compagnie assicurative, reati tutti aggravati dal metodo mafioso.
La condanna
Il Tribunale di Lamezia Terme, in composizione collegiale presieduto da Maria Teresa Carè, ha ritenuto gli imputati responsabili dei reati condannando Franco e Luigi Trovato e Antonio Voci alla pena di 7 anni e 6 mesi di reclusione e 6.500 euro di multa. Il pubblico ministero aveva chiesto una pena di 10 anni di reclusione e 10.000 euro. Ha inoltre condannato Giovanni Scaramuzzino alla pena di 5 anni e 4 mesi di reclusione. La Procura aveva chiesto 9 anni di reclusione e 8.000 euro di multa. Assolto invece Battista Cosentino. Gli imputati, inoltre, sono stati condannati anche a risarcire la compagnia assicurativa, costituitasi parte civile per la somma di 37.700 euro.
L'inchiesta
L’inchiesta giudiziaria è maturata nell’ambito dell’operazione “Perseo”. Le indagini del caso erano state affidate dal sostituto procuratore Elio Romano al Nucleo Mobile della Guardia di Finanza di Lamezia Terme. L’origine delle attività investigative si trova in alcune dichiarazioni rese dal collaboratore Giuseppe Giampà. In particolare, tra le centinaia di vicende criminose sulle quali aveva riferito, il pentito faceva cenno anche ad un’aggressione fisica posta in essere da Alessandro Trovato a danno di un artigiano per futili motivi.
L'ingerenza del boss
In quella circostanza, secondo il racconto del collaboratore, i fratelli Franco e Gino Trovato, per impedire che la vittima sporgesse denuncia, chiesero l’intervento del boss Giuseppe Giampà. Il caso ha voluto che nel periodo in cui si verificano gli eventi oggetto dell’inchiesta, i finanzieri del Nucleo Mobile stavano intercettando i telefoni di Antonio Voci e Giuseppe Catroppa, attuale collaboratore, personaggi ai quali Giuseppe Giampà Giuseppe si era rivolto, a fronte della richiesta ricevuta dai Trovato, per intercedere presso la vittima affinchè la stessa non denunciasse il fatto alle autorità.
L'aggressione
Quindi, dallo spunto delle dichiarazioni rese da Giuseppe Giampà, confermate successivamente anche da altri collaboratori, i finanzieri del Nucleo Mobile hanno ricostruito l’intera vicenda anche grazie alle informazioni rese dalla stessa vittima, la quale dopo l’iniziale reticenza dovuta alla paura, non ha potuto fare a meno di raccontare i fatti per come realmente accaduti facendo emergere la sua costrizione ad aderire alle richieste dei presunti estorsori, nonostante le violenze subite. Dalle attività investigative è emerso che la vittima dell’aggressione, quindi, dopo essere stato accoltellato, sfregiato e preso a martellate fino a svenire, si è trovato a dover dire in ospedale di essere stato vittima di incidente stradale affiancato da un legale che altri per lui avevano già incaricato per le pratiche.
L'avvocato
Il legale era stato poi identificato nell’avvocato Giovanni Scaramuzzino, da tutti conosciuto come “Chicco”. La vittima dell’aggressione ha riferito ai finanzieri che una volta ristabilitosi aveva manifestato l’intenzione di revocare la nomina al legale, ma la sera ricevette la “visita” dei Trovato, che lo “convinsero” con modalità ritenute “mafiose” dagli inquirenti, a non cambiare legale.
Il processo
Nel corso del processo il brigadiere Vito Margiotta, comandante del Nucleo Mobile, ha ricostruito in aula la vicenda e le movimentazioni finanziarie poste a base dell’accusa di estorsione nei confronti degli imputati evidenziando come dall’estratto conto corrente di Giovanni Scaramuzzino, risulta che questi, in data 19.05.2011, riceveva un bonifico dalla Duomo-Unione assicurazioni, per 33.500 euro quale risarcimento per lo pseudo-sinistrato e di tale somma, 4.200 euro erano relativi a compensi legali.
Dallo stesso estratto conto emergeva, altresì, che l'avvocato una volta ricevuto il bonifico, effettuava le seguenti operazioni: richiedeva alla sua banca l’emissione di un assegno circolare a nome della vittima dell’aggressione dell’importo di 16.750 euro dopodichè emetteva e negoziava per cassa due assegni a sua firma tratti dallo stesso conto corrente, entrambi dell’importo di 8.375 euro e prelevava contestualmente le equivalenti somme in denaro contante.
Secondo le conclusioni degli investigatori, quindi, l’avvocato avrebbe reso al malcapitato solo la somma di 16.750 euro invece di quella che era realmente a lui destinata (di 29.300 euro) e le restanti somme sarebbero quelle destinate poi ai fratelli Trovato. Secondo la Procura, infatti, quelle somme prelevate in contanti dallo Scaramuzzino sarebbero state consegnate ai Trovato, sui conti correnti dei quali, a distanza di alcuni giorni, si trova traccia di versamenti per notevoli importi non giustificati. Per portare a termine i delitti, i Trovato avrebbero coartato anche altri due soggetti che sono risultate parti in causa nel sinistro simulato, dei quali uno ha confessato mentre, l’altro, Francesco Cosentino, interrogato sui fatti si è avvalso della facoltà di non rispendere.
Nel corso del processo sono stati anche ascoltati i collaboratori Angelo Torcasio, Giuseppe Giampà, Battista Cosentino, Giuseppe Catroppa e Piraina. Gli autori materiali dell’aggressione all’artigiano, Alessandro Trovato e Francesco Gigliotti, avendo aderito al rito abbreviato erano già stati giudicati dal Tribunale di Catanzaro che aveva condannato il primo per le lesioni cagionate all’artigiano, escludendo l’aggravante mafiosa ed assolto il secondo.