Decine di incontri sessuali, avvenuti tra il 2008 e il 2010, tra due militari di stanza a Mantova, il romagnolo R.S. e il calabrese M.M., e due transessuali brasiliane. Incontri consensuali solo all’apparenza, avvenuti, in realtà sotto minaccia di espulsione dal nostro paese, dato che entrambe le trans coinvolte erano sprovviste dei documenti necessari per restare nel nostro paese. Ana Paula e Bruna, (questi i loro nomi fittizi), con i due militari erano state costrette a stringere un patto. Sesso gratis, in cambio di protezione. E la faccenda era più che risaputa. Tanto che in un’occasione, fermato da una pattuglia per un controllo, un trans aveva raccontato che due sue “colleghe” non avevano problemi di alcun tipo, perché due amici carabinieri le proteggevano in cambio di prestazioni sessuali.

Le indagini

Ed è proprio da quell’episodio che presero il via le indagini, dalle quali emersero i numerosissimi contatti telefonici tra le due parti per accordarsi su luoghi e orari degli incontri. La Corte di Cassazione si è espressa condannando entrambi per induzione indebita e peculato d'uso, quattro anni di reclusione per il calabrese, tre anni e otto mesi per il collega romagnolo. I due imputati hanno protestato contro la sentenza emessa a loro carico dalla Corte di Appello di Brescia nel 2016 - a conferma di quella pronunciata in primo grado dal Tribunale di Mantova - rivolgendosi alla Suprema Corte per contestare l'entità della pena. Gli 'ermellini', infatti, la hanno ritenuta  «giusta e congrua in riferimento alla gravità dei fatti ed alla situazione di particolare debolezza delle persone offese, anche solo a considerare che la loro presenza sul territorio italiano era giuridicamente irregolare».