Il Parlamento dovrà riscrivere la norma sull’ergastolo ostativo entro un anno. Poi arriverà la decisione della Corte costituzionale che, comunque, giudica l’attuale disciplina in contrasto con la Costituzione. È questa la decisione della Consulta, riunitasi oggi in camera di consiglio per affrontare la questione di legittimità sollevata dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia o comunque di contesto mafioso, che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale.

Come si ricorderà, l’attuale regime preclude a tali soggetti la possibilità di ottenere, in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento finalizzato ad ottenere la liberazione condizionale, quand’anche il ravvedimento dovesse risultare sicuro.

Ed è qui che i giudici della Consulta fanno comprendere quella che appariva già come una decisione annunciata: l’incostituzionalità di detta norma. La Corte, infatti, ha osservato che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, «è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Lapalissiano, dunque, come tale disciplina necessiti di una adeguata modifica che tenga conto dei rilievi posti dalla Corte.

Ma i giudici della Consulta non hanno ritenuto di accogliere in modo immediato le questioni, perché ciò «rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata». Tradotto in soldoni: se la Corte avesse accolto subito tali questioni, da domani tutte le cancellerie sarebbero state tempestate di istanze provenienti anche dai boss più sanguinari della storia della criminalità organizzata, con il concreto rischio di mettere a repentaglio l’interno sistema normativo antimafia italiano, caratterizzato da un peculiare assetto proprio in considerazione dell’allarme sociale destato dal fenomeno mafioso nel corso degli anni.

Saggiamente, la Corte costituzionale, invece, ha deciso di rinviare la trattazione delle questioni a maggio del 2022, per consentire «al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi».

Potremmo dire, dunque, che, come costume della Corte costituzionale, si è deciso di perseverare nell’equilibrio esistente fra la necessità di dichiarare incostituzionale una normativa e la volontà di non cedere ad un facile “liberi tutti” che avrebbe rischiato di affossare decenni di pressante lotta alla criminalità organizzata che ha portato anche ad un notevole tributo di sangue da parte di magistrati e forze dell’ordine. Per altro verso, sempre nell’ottica di quel sistema di pesi e contrappesi molto caro ai giudici della Consulta, un occhio di riguardo è stato posto anche alla necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia, messo seriamente a repentaglio da una eventuale dichiarazione d’incostituzionalità immediata. Ed è notorio quanto tale istituto abbia indebolito le mafie, permettendo allo Stato di addentrarsi sino ai segreti più oscuri che hanno consentito a Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra di infiltrare persino le istituzioni. Ecco perché la decisione della Corte costituzionale appare nettamente in linea con le aspettative, sebbene non vada ad impattare immediatamente sul sistema antimafia italiano.

Toccherà adesso al legislatore trovare il giusto contemperamento degli interessi in gioco e dei valori costituzionali da tutelare. Tanto per i detenuti, quanto per chi ogni giorno lotta contro i sistemi criminali.