VIDEO | La Corte d'assise di Reggio Calabria ha emesso la sentenza nel processo 'Ndrangheta stragista dopo tre anni di udienze confermando che i due imputati sono i mandanti degli attentati calabresi contro ai militari con cui la ‘ndrangheta ha firmato la propria partecipazione alla trattativa Stato–mafia
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
La Corte d'assise di Reggio Calabria ha condannato all'ergastolo i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone nel processo 'Ndrangheta stragista, nel quale sono accusati di essere i come mandanti degli attentati calabresi ai contro i carabinieri con cui i clan calabresi hanno detto sì alla trattativa Stato-Mafia. La lettura del dispositivo è avvenuta pochi minuti fa nell'aula bunker del tribunale dello Stretto. Una sentenza storica, nella quale è stato disposto l'isolamento diurno per 18 anni mesi per Filippone e Graviano. Altri 18 anni di carcere sono stati comminati a Filippone per l'associazione mafiosa e per entrambi la sospensione della patria podestà.
L’inizio di un nuovo capitolo
Si conclude così un processo che sembra aprire a nuovi scenari più che chiudere un capitolo. E non solo perché la Corte ha disposto anche la trasmissione in procura degli atti relativi alla testimonianza di Giuseppe Calabrò, uno degli esecutori materiali degli attentati, pentito, pentito di essersi pentito, quindi pentito ancora, per poi tornare a trincerarsi dietro clamorose bugie. O perché la presidente della Corte, Silvia Capone ha anche ordinato che alla Dda vengano trasmesse per le determinazioni di competenza anche le trascrizioni delle udienze durante le quali Graviano ha accettato, per la prima volta nella sua ultraventennale detenzione, di sottoporsi ad esame, così come del memoriale difensivo che ha inviato alla Corte. Il suo ultimo bluff, l’ultimo tentativo di mandare messaggi.
Una decisione di sistema
Il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e il mammasantissima di Melicucco, Rocco Santo Filippone – ha sostenuto il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e hanno confermato i giudici - sono i mandanti degli attentati calabresi contro i carabinieri con cui la ‘ndrangheta ha firmato la propria partecipazione alla trattativa Stato–mafia. Non si tratta però di una decisione non di un capo o di un boss, ma– ed è questo il dato che emerge con prepotenza da un’istruttoria di oltre tre anni - dei vertici delle due organizzazioni. Graviano come espressione del direttorio che governava di Cosa Nostra, Filippone, cristallina espressione emanazione dei Piromalli, delegato a rappresentare il «coso di sette» che rappresenta i tre mandamenti e determina le macrostrategie della ‘Ndrangheta tutta.
L'inchiesta di Lombardo
Questo però non completa il perimetro di chi ha pensato, voluto, disegnato quelle stragi. Al centro dell’inchiesta c’è un’intera stagione. Politica, economica, strategica. Non ancora completamente raccontata, così come non sono stati ancora individuati tutti i protagonisti. «Ma sulle altre componenti confidiamo che venga fatta chiarezza» ha detto il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel corso della requisitoria. Ed oggi, a pochi minuti dalla lettura del dispositivo, è già pronto a rilanciare. «Speriamo che sia l’inizio di un percorso di ricostruzione che vada oltre quello che è stato fatto fino ad oggi. Penso che questa terra e le vittime di mafia di questa terra meritino questo tipo di impegno e determinate risposte, che non sono state facili».
Attentati calabresi parte di un disegno eversivo
È stato lui a comprendere che quei tre attentati contro i carabinieri che fra il dicembre ’93 e il febbraio ’94 sono costati la vita ai brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari, non sono mai stati la tragica bravata di due picciotti in cerca di gloria, ma parte di un disegno eversivo molto più complesso. In un momento storico complesso. Con il muro di Berlino che crollava e i partiti cardine della democrazia bloccata, Dc e Psi, un intero sistema ha vacillato. Così come le forme di potere occulte che all’ombra della cortina di ferro sono cresciute, si sono affermate, hanno avuto voce in capitolo e in quel momento hanno rischiato di perdere tutto.
Strategia della tensione voluta da un sistema di potere
Ecco perché, insieme a ‘Ndrangheta e Cosa Nostra la partita l’hanno giocata in molti. Dagli uomini di Gladio alla massoneria di Gelli, dai settori dei servizi impiegati nelle operazioni Stay Behind a chi per anni ne ha dettato le priorità strategiche. Componenti diverse «che nel contatto con la mafia diventano alta mafia» ma tutte con lo stesso intento: un’opera di ristrutturazione del potere che lo mantenesse identico a se stesso. Le bombe, gli omicidi, il sangue e il terrore sono sempre stati un mezzo, non un fine. Per le mafie, uno strumento per non perdere quei riferimenti politici, istituzionali, imprenditoriali e di intelligence che hanno reso le mafie centro di potere e non semplicemente bande criminali.
La quadratura del cerchio sul simbolo di Forza Italia
Per questo, di concerto con quelle componenti che alla luce dei nuovi assetti nazionali e internazionali rischiavano di perdere potere le rendite di posizione acquisite, si è inaugurata una stagione di terrore che ha trovato quadra e conclusione nella nascita e affermazione di Forza Italia. Un dato storico, cronologico. Un fatto confermato dallo stesso Giuseppe Graviano, dalla sua fretta dell’epoca nel procedere con gli attentati, dalla sua rabbia di oggi, nell’accusare il “socio” Silvio Berlusconi di averlo tradito. Ufficialmente negli affari. Per i giudici, nella nuova strutturazione del potere in Italia, da cui Graviano – arrestato tre giorni dopo l’ufficiale “discesa in campo” di Berlusconi – sarebbe stato escluso.
Una mistificazione lunga 30 anni
E la ‘Ndragheta? «Ha fatto delle scelte di un certo tipo, è riuscita per molti anni a far credere di non aver preso parte ad una determinata strategia, ha utilizzato gli uomini giusti e in questo – sottolinea il procuratore aggiunto Lombardo - è riuscita a nascondersi. Penso sia arrivato il momento di raccontare fino in fondo quale sia stato il loro ruolo e la sua forza criminale». E questo, aggiunge Bombardieri, deve essere un dato da valutare anche per i vertici dello Stato.
Bombardieri: «Adesso dateci le forze necessarie per continuare ad approfondire»
«Il fatto che la ‘Ndrangheta non sia mai stata considerata per quello che veramente è e che solo adesso se ne parli come un fenomeno universale, che riguarda non solo l’Italia e l’Europa ma il mondo intero, deve portarci anche a dare la giusta dimensione a quello che è necessario per contrastarla. Oggi come oggi siamo impegnati nella richiesta di un potenziamento degli uffici giudicanti, della polizia giudiziaria che è ancora ferma agli anni in cui si parlava solo di Cosa Nostra. La Ndrangheta è pericolosa e questo processo è l’occasione giusta per ribadire la necessità, per svolgere al meglio gli ulteriori sviluppi di questo importante lavoro, di un rafforzamento della polizia giudiziaria, quanto mai necessaria».