Una battaglia - lunga, faticosa, forse inascoltata - iniziata il 16 ottobre 2014. Una battaglia, quella di Enza Bruno Bossio sul Cara di Isola Capo Rizzuto, almeno nelle fasi iniziali condivisa dal deputato dem Khalid Chaouki e, soprattutto, dal senatore Luigi Manconi, anche nelle vesti di presidente della Commissione per i diritti umani.  Una prima interrogazione, sulla «violazione dei diritti umani» di un gruppo di profughi siriani sottoposti a metodi coercitivi nelle procedure di identificazione; seguita nel maggio 2015 da una prima visita al Cara di Isola.

 

La prima visita al Cara. «Dal punto di vista formale - ricorda la parlamentare del Partito democratico - sembrava tutto a posto, a parte il problema del sovraffollamento». Poi, in quell’occasione, iniziò a fare domande, sulla scorta di un’inchiesta condotta da Raffaella Cosentino su L’Espresso, che richiamava due relazioni dell’associazione “Presidium” che sollevava il problema della mancata corresponsione del pocket money ai migranti. «Ma già allora era evidente l’incapacità di contare le presenze. Il vero business – prosegue la deputata calabrese – non era però solo sul pocket money. E così, da un lato l’associazione Presidium denunciava un ammanco di due milioni di euro mentre la Prefettura  e, quindi il Ministero che rispose alla mia interrogazione, ribattevano che si trattava di soli ventimila euro, poi novemila, insomma, cifre irrisorie».

 

La cresta sul “pocket money”. Quanto al pocket money, la situazione iniziò a venir fuori in tutta la sua drammaticità: «Agli immigrati sono destinati 35 euro, di cui 2 euro e 50 al giorno dovevano essere dati materialmente a loro, ma al Cara venivano consegnati solo come schede telefoniche e sigarette, quando gliele davano peraltro. Queste persone non avevano un euro, dico un euro. Poi venivano presi, portati con una navetta a Crotone città e qui preda della criminalità, anche solo della bassa manovalanza criminale».

 

«Altro che droga…». Ma le sorprese, malgrado l’apparente normalità, scava scava, per Enza Bruno Bossio non finivano qui: «La cosa più grave è che non si riusciva a contare quante persone ci fossero. In base alla gara dovevano essere 800 posti, ma loro dichiaravano che ce n’erano 1.000, 1.200, 1.600, con variazioni giornaliere. Lì non c’era proprio nessun controllo, nessuno. Capisci che se un immigrato costa 35 euro al giorno, costa alla comunità anche se loro, gli stessi immigrati, non incassavano neppure i 2 euro e 50, dire che ce ne sono 1.000, 1.200 o 1.600, no so, fatevi due conti, è utile puro… Altro che droga, è utile pure».

 

Cose di un altro mondo. Il Cara di Isola Capo Rizzuto, sin dall’inizio del suo viaggio, apparve ad Enza Bruno Bossio come un mondo a sé. Un mondo nel quale neppure si capiva dove fossero le istituzioni e con quale squadra giocassero: «La cosa incredibile già allora è che ci seguì un funzionario della Prefettura, che non solo mi redarguì dicendo che non dovevo parlare con questi ragazzi, con questi immigrati, perché avrei suscitato aspettative che non avrebbero avuto risposta. Io le dissi “lei faccia il suo lavoro e io il mio”. E questo stesso funzionario mi rispose che non c’era un problema di pocket money, se non di pochi spiccioli. E questa versione fu poi riportata anche nella risposta che il sottosegretario diede alla mia interrogazione».

 

 

Una parlamentare isolata. Le iniziative della deputata dem su Cara di Isola suscitarono immediatamente le reazioni di Leonardo Sacco, il governatore della Misericordia, principale indagato nell’inchiesta “Jonny”, attualmente in carcere. La sua risposta ad Enza Bruno Bossio fu affidata prima ad un’aggressione sui social media e poi ad una querela. «Ovviamente – spiega la parlamentare – non mi preoccupo più di tanto, ma alla fine ci resto male. Io indagata e Sacco, fino ad oggi almeno, libero e ben coperto. Nel momento in cui mi querela provo a cercare coperture politiche per me stessa e devo dire che trovo dappertutto muri. La Commissione sui migranti, guidata prima da Migliore e poi da Gelli, dice che lì è tutto a posto. Il sottosegretario risponde e dice che è tutto a posto. Il Ministero, quando chiedo lumi sulla nuova gara, dice che c’è l’autonomia della Prefettura e non si può intervenire. Vado a parlare con Morcone (Mario, capo di gabinetto del ministero dell’Interno, all’epoca capo dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione), che mi apre un po’ gli occhi quando mi parla di una riunione in Prefettura perché era uscita fuori la vicenda del battesimo del figlio di Arena da parte di Sacco. Informo Rosy Bindi che, quando facciamo la visita della Commissione antimafia a Reggio, convoca il nuovo prefetto di Crotone che, sentito sul punto, ha detto di non sapere nulla di questa cosa».

 

La seconda visita. Sempre più isolata, decide per una nuova visita, questa volta a sorpresa, al Cara. E decide, Enza Bruno Bossio, di portare con sé Raffaella Cosentino, la giornalista dell’Espresso che scoperchiò il pentolone del Cara di Isola Capo Rizzuto. Non nasconde l’identità della giornalista e la sua sola presenza provoca una ridda di polemiche in particolare con la Prefettura. Il caso viene portato anche all’attenzione dello stesso Mario Morcone, secondo cui non si doveva portare la reporter al Cara senza avvisare. La risposta all’allora capo dipartimento su basata su un dato di fatto: «Come mai al Cara, una società di catering soggetta da interdittiva antimafia sia stata rimpiazzata con un’altra società che appartiene alla stessa famiglia…». E Morcone risponde, anche stavolta, che per la Prefettura è tutto okay.

 

«La copertura della Prefettura». Ed è qui che si palesa la più evidente delle contraddizioni. «Queste sono cose che erano sotto gli occhi di tutti, denunciate dalla stampa, ma anche da una parlamentare, in sede di commissione antimafia, in colloqui informali. Sono le cose – spiega l’onorevole del Pd – che erano sotto gli occhi di tutti». E allora, com’è possibile che nessuno abbia visto o sentito? Enza Bruno Bossio parla, quindi, senza mezzi termini, di «copertura da parte della Prefettura di Crotone» a quello che si potrebbe indicare come il “sistema Sacco”. Copertura sulla quale – annuncia – indagherà la stessa Commissione antimafia. «Forse è forte come parola? Io non credo che si possa parlare di disattenzione – ribadisce – La disattenzione esiste se qualcosa non si sa, la si ignora. Ma davanti ad una situazione denunciata dalla stampa e dalla sottoscritta, come si fa a parlare di disattenzione?».

 

«Tutti i Cara vanno chiusi». Il marcio del Cara di Isola viene così ora tutto a galla, e in tutte le sue sfumature, grazie alla magistratura, che dice – grazie a fiumi di intercettazioni e verifiche documentali - come andassero le cose. Ma Isola non è altro che il paradigma di un sistema che non funziona. «Io sono – spiega Enza Bruno Bossio – per la chiusura dei Cara. Di tutti i Cara, che hanno in sé una natura criminogena, anche se fossero gestiti del più onesto degli imprenditori. Perché quando ti trovi davanti a numeri così imponenti, ottocento, mille, milleduecento, la tentazione di aumentare, di speculare, talvolta diventa irresistibile».

 

Un sistema che deve cambiare, perché «l’accoglienza non può essere un business costruito sulla disperazione».

 

Pietro Comito