Mentre la politica locale si interroga sulla riapertura del tribunale di Rossano, forse dibattuto strumentalmente per meri interessi di partito, i (veri) problemi che affliggono la Sibaritide non vengono affrontati. La recrudescenza dei fenomeni criminali preoccupa seriamente gli organi di giustizia. Chi sta sul territorio compie ogni giorno sforzi enormi per rispondere alle esigenze dei cittadini e nell’ultimo anno gli episodi delittuosi sono quintuplicati.

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Nel mirino di chi delinque sono finiti amministratori, professionisti e imprenditori ed è sempre più difficile dare una spiegazione ai tanti atti intimidatori che si verificano non solo a Corigliano Rossano, ma anche nei territori di Cassano e Trebisacce. Zone “attenzionate” dalle forze dell’ordine in ogni loro aspetto, con l’obiettivo di far emergere le sacche malavitose che danneggiano il tessuto economico-sociale della piana di Sibari. Una terra dove l’agricoltura rimane la fonte primaria di reddito e perciò le organizzazioni criminali tendono a fare ingresso nelle attività commerciali. 

Le inchieste antimafia denominate “Kossa” e “Athena”, nonché quelle coordinate dalla procura di Castrovillari, dimostrano la ferocia dei clan e l’illecito arricchimento di uno o più gruppi di potere. Come fronteggiare quindi queste emergenze? La soluzione non è certo quella di avere un “nuovo” presidio se a conti fatti gli organici di polizia giudiziaria sono carenti. La strada da seguire è un’altra.

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Nella Sibaritide una 'ndrangheta molto più pericolosa di quella cosentina

I primi segnali di cambiamento sono avvenuti in passato e hanno riguardato l’Arma dei carabinieri. Il ministero della Difesa infatti ha unito le due Compagnie di Corigliano e Rossano, creando il Reparto territoriale con un minimo potenziamento della pianta organica. A Cassano Ionio, invece, si è registrato il passaggio da Tenenza a Compagnia (che prevede un certo numero di stazioni, l’Aliquota Operativa e la Radiomobile) trattandosi di un territorio dove la ‘ndrangheta ha radici profonde. Le indagini della magistratura in tal senso sono illuminanti. E come evidenziato in un altro servizio, le due potenze criminali – gli Abbruzzese e i Forastefano – hanno deciso di allearsi, sancendo così la cosiddetta “pax mafiosa”. Ciò serve, dal loro punto di vista, ad accrescere il prestigio criminale. Ma non è solo questo. 

Gli oltre dieci omicidi commessi dal 2018 ad oggi vanno anche in un’altra direzione. Chi non accetta i nuovi equilibri viene eliminato. Senza se e senza ma. Il fatto che siano stati deliberati ed eseguiti nella Piana di Sibari è un elemento da non sottovalutare che testimonia come la ‘ndrangheta jonica da questo punto di vista sia molto più pericolosa di quella prettamente bruzia. La conferma arriva direttamente dalle indagini di “Reset”, quando il boss Francesco Patitucci, parlando con i suoi “sodali”, spiegava di non aver dato l’assenso a uccidere un uomo, originario della Sibaritide, nella città di Rende, per "tenere" a debita distanza le forze dell'ordine. E così fu. Il soggetto è stato poi ammazzato nella periferia di Cassano.

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La distanza tra il "cuore" delle indagini e il territorio

L’altro presidio territoriale è rappresentato dal commissariato di Polizia. Le novità potrebbero arrivare nel giro di pochi mesi. Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, facente capo al Ministero dell’Interno, ha espresso parere favorevole alla proposta di convertire il commissariato in Distretto di Polizia che in Calabria è già presente a Siderno, Gioia Tauro e Lamezia Terme. Ciò consentirebbe quindi di avere un organico meglio strutturato al fine di prevenire o reprimere i fenomeni delinquenziali. È necessario però incrementare gli agenti in servizio e sfruttare al massimo le loro capacità investigative, facendo fronte comune con i carabinieri e la Guardia di Finanza. Tutto ciò basterebbe a supportare adeguatamente la magistratura? No, serve anche altro.

Chi segue i processi ordinari o distrettuali è ben consapevole che la pubblica accusa viene “accusata” dalle difese di non aver portato in aula gli opportuni riscontri rispetto al teorema accusatorio. Se ad esempio parliamo di narcotraffico le indagini vengono svolte il più delle volte mediante l’ascolto delle intercettazioni che fanno riferimento al giorno prima o addirittura a oltre 48 ore prima. La prassi vuole che oltre alle captazioni telefoniche o ambientali gli ufficiali di polizia giudiziaria facciano pure un lavoro “sporco”: appostamenti e pedinamenti. Ciò darebbe ancora più forza alla costruzione del capo d’imputazione. 

Se per i reati di natura ordinaria gli accertamenti investigativi vengono svolti quasi sempre dai militari in servizio presso le rispettive Compagnie o in alcuni casi nelle sezioni di Squadra Mobile, Digos o divisione Anticrimine (senza ovviamente trascurare il Nucleo di polizia economico-finanziario delle Fiamme Gialle), quelli di competenza distrettuale – perlopiù inchieste antimafia, omicidi e altro ancora – sono assegnati quasi esclusivamente alla Squadra Mobile e al Nucleo Investigativo con la supervisione del Reparto operativo dei carabinieri. In entrambi i casi la base operativa (e logistica) è a Cosenza, distante tanti chilometri dalla zona della Piana di Sibari. Quale potrebbe essere l’elemento di novità capace (forse) di fare la differenza? Avere squadre investigative specializzate sul territorio.

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La conoscenza dei meccanismi criminali e le carenze di organico

Tornando ai processi, e prendendo spunto da quelli antimafia, gli stessi vengono formati da atti realizzati da ufficiali di polizia giudiziaria che hanno una conoscenza approfondita dei meccanismi criminali. Perché il compito di chi sta in “cuffia” non è soltanto quello di trascrivere le conversazioni ma anche di comprendere il linguaggio criptico. Ognuno degli investigatori ha infatti un bagaglio giudiziario notevole che gli permette di intuire che se si parla di “mozzarelle”, “vernice”, “lampadine”, “bici”, “cd”, “caffè”, “liquori” e via discorrendo, il riferimento è senza dubbio alla droga. Stessa cosa se si decide di fare un’estorsione a un commerciante o un imprenditore, utilizzando la frase “mettiti a posto”. Insomma, per operare in maniera celere e costruttiva è essenziale che chi è delegato a questo tipo di indagini venga “esonerato” da procedimenti penali di minor interesse. Questo avviene? Probabilmente no. Le inchieste, mal che vada, vengono portate avanti da cinque, massimo sei, ufficiali di polizia giudiziaria che diventano il triplo, o forse un po’ di più, se consideriamo le maxi operazioni. Ma non si può campare sempre di grandi numeri anche perché la riforma penale voluta dall’ex ministro della Giustizia Marta Cartabia invita a non perseguire la strada delle grandi operazioni.

E la Procura di Castrovillari perde due magistrati

In definitiva, i presidi di legalità nella Piana di Sibari e dintorni, vedi la zona del Pollino, ci sono eccome. Il territorio è monitorato ma sarebbe utile incrementare le piante organiche con la creazione di gruppi operativi esperti, così da avere investigatori altamente qualificati (e sul posto) per ostacolare l’evoluzione della ‘ndrangheta. 

Oggi ci troviamo, invece, con il Nucleo Investigativo e con la Squadra Mobile di Cosenza che “servono” tre tribunali e tre procure in provincia di Cosenza, senza considerare gli input investigativi che arrivano dalla Dda di Catanzaro. 

In conclusione, le risposte che si attendono i magistrati e le forze dell’ordine sono altre. La procura di Castrovillari da qualche settimana ha perso due magistrati e non solo è urgente colmare questi posti ma sarebbe opportuno anche valutare se vi siano i requisiti per istituzionalizzare la figura di un procuratore aggiunto, un aspetto di esclusiva competenza del ministero della Giustizia. La politica, dunque, non si perda in chiacchiere. La giustizia ha bisogno di concretezza.