Il figlio del boss Pantaleone (l’Ingegnere) ha nominato dei nuovi difensori, mentre il pm della Procura di Vibo ha chiesto oggi la sua condanna per droga insieme ad altri otto imputati
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Se non ha ancora il “timbro” dell’ufficialità poco ci manca. L’avvio di una collaborazione con la giustizia da parte di Emanuele Mancuso è tuttavia ora quasi certa alla luce di quanto accaduto oggi in aula dinanzi al gup del Tribunale di Vibo Valentia, Grazia Maria Monaco. In programma vi era infatti il processo con rito abbreviato per l’inchiesta sullo spaccio di droga nelle Preserre vibonesi condotta dai carabinieri del Norm di Serra San Bruno con il coordinamento del pm Filomena Aliberti e scattata nel giugno dello scorso anno. E fra gli imputati vi è pure il 30enne di limbadi, residente a Nicotera, Emanuele Mancuso che ha revocato il proprio difensore di fiducia per nominare i legali di uno studio che solitamente assiste collaboratori e testimoni di giustizia.
Un “segnale” importante, quindi, quello del cambio dei difensori da parte di Emanuele Mancuso, che lascia ben poco spazio alle interpretazioni. Anche se il pm nella sua requisitoria e nella richiesta di pena non ha fatto alcun cenno ad un eventuale sconto riservato ai collaboratori di giustizia, alla luce degli avvenimenti registrati oggi appare sempre più chiara la strada scelta da Emanuele Mancuso. Da tenere poi in considerazione che l’avvio della collaborazione e dei colloqui con gli inquirenti da parte di Emanuele Mancuso è piuttosto recente e quindi lo stesso non è stato ancora ammesso nel programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia, ma si trova invece detenuto nel carcere di Paliano, istituto penitenziario in provincia di Frosinone destinato ai collaboratori. Nei confronti di Emanuele Mancuso (che per tale inchiesta risponde a piede libero) il pm Aliberti ha chiesto la condanna a 2 anni e 10 mesi, più 7mila euro di multa per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente. La richiesta di pena è già scontata di un terzo per via della scelta di un processo con rito abbreviato. Secondo l’accusa, Emanuele Mancuso avrebbe acquistato o ricevuto sostanza stupefacente non meglio indicata trasportata nell’occasione da Vincenzo Tino, 28 anni, di Capistrano, per il quale il pm ha anche chiesto la condanna a 2 anni e 10 mesi, più 7mila euro di multa. La contestazione viene mossa con l’aggravante della recidiva per Emanuele Mancuso e la recidiva infraquinquennale e specifica per Vincenzo Tino. Fatti di reati che sarebbero stati commessi tra Capistrano e Serra San Bruno in un arco temporale ricompreso fra il giugno 2015 ed il luglio dello stesso anno. Queste le altre richieste di pena formulate oggi dal pm: 2 anni, 2 mesi e 6mila euro per Giuseppe Gamo, 28 anni, di Spadola; 5 anni, 10 mesi e 23mila euro di multa per Damiano Mamone, 35 anni, di Serra San Bruno; 5 anni, 4 mesi e 18mila euro di multa per Francesco Cannizzaro, 28 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte;2 anni, 10 mesi e 7mila euro per Cristian Francesco Valenti, di 22 anni, di Serra San Bruno; 2 anni, 4 mesi e 7mila euro per Manuel Delfino, 30 anni, di Reggio Calabria; 5 anni, 8 mesi e 20mila euro di multa per Simone Musolino, 28 anni, di Brognaturo; un anno per Piera Tounsi, 24 anni, di Suzzara (Mn). Il pm ha poi chiesto il rinvio a giudizio per altri tre imputati che hanno chiesto di essere giudicati con il rito ordinario. Si tratta di: Fernando Spatola, 21 anni di Serra San Bruno;Marco Cunsolo, 32 anni di Soverato; Giovanni Gimigliano, 23 anni di Catanzaro.
L’inchiesta dei carabinieri del Norm di Serra San Bruno ha permesso di disarticolare una rete di spacciatori attiva nelle Serre vibonesi con diramazioni pure nel Soveratese, nel Reggino ed in altre zone d’Italia. La rete di spaccio avrebbe inondato di hashish, marijuana, e in alcuni casi anche di cocaina, le “piazze” di Serra San Bruno, delle Serre e del Soveratatese, contando su solidi canali di approvvigionamento e su una capillare distribuzione sul territorio. Il tutto coordinato attraverso uno strumento comunissimo quanto fallace: una chat di WhatsApp. Ed è stato proprio il noto dispositivo di messaggistica a tradire i componenti del gruppo, senza alcuna posizione verticistica o componente associativa. Gruppo con il quale sarebbe entrato in rapporti anche Emanuele Mancuso, figlio del boss Pantaleone, alias “l’Ingegnere”, che ha ora deciso di “saltare il fosso” ed iniziare a collaborare con la Dda di Catanzaro. Quanto le sue dichiarazioni verranno giudicate attendibili è ancora presto per dirlo. Di certo, il “terremoto” nella famiglia Mancuso è ora quasi una certezza. Ed è appena iniziato.
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