Se oggi l'ecomostro di Torre Melissa, comune in provincia di Crotone, viene ridotto in polvere, è perché l'azione della magistratura in quel territorio è stata incisiva e ben strutturata. Si parla del periodo che va dal 2005 al 2007, anno in cui il palazzone abusivo era stato sequestrato dalla Procura di Crotone, grazie al pool di carabinieri e consulenti messo su dall'allora pubblico ministero Pierpaolo Bruni, poi passato alla Dda di Catanzaro, oggi procuratore capo di Santa Maria Capua Vetere.

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All'epoca i procedimenti riguardanti le misure di prevenzione erano ancora di competenza della procura ordinaria e successivamente la fase processuale sarebbe passata alla Distrettuale. In quegli anni l'intento repressivo era finalizzato a far emergere il marcio che c'era in provincia di Crotone, dove le cosche di 'ndrangheta - sia quelle cirotane che i clan presenti a Isola Capo Rizzuto - avevano rapporti con soggetti sospettati di essere le cosiddette "teste di legno", ovvero "prestanomi" dei boss mafiosi. Come nel caso di Costantino Mangeruca, detto il "falegname", capace di avere nella sua disponibilità un impero economico non indifferente, frutto di proventi illeciti investiti dalla 'ndrangheta in immobili, vedi l'economostro di Torre Melissa, e soprattutto in provincia di Milano.

Per giungere a una conclusione investigativa che potesse dare conto dei movimenti illeciti tra Africo, luogo d'origine di Costantino Mangeruca, Torre Melissa e Milano, il magistrato Bruni (che per questi fatti aveva ricevuto le prime minacce di morte) aveva creato un gruppo di lavoro composto dai carabinieri del Comando provinciale di Crotone e consulenti esperti in materia finanziaria ed economica del nord Italia. Questi, infatti, avevano dato un grande contributo alla causa, permettendo alla Procura di Crotone di ricostruire la rete immobiliare - 39 proprietà per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro - dell'uomo considerato da sempre come vicino ad ambienti mafiosi. Quel "metodo investigativo" consentì alla magistratura anche di sequestrare un appezzamento di terreno dove venivano coltivati finocchi, situato nel comune di Isola Capo Rizzuto e riconducibile a una delle famiglie di 'ndrangheta della zona. Per l'ecomostro dunque si arrivò a confisca. E oggi finalmente se ne decreta la fine.