La sentenza

Autobomba di Limbadi, per la morte di Matteo Vinci confermati due ergastoli in Appello, rideterminate le altre condanne

Carcere a vita per Rosaria Mancuso e il genero Vito Barabara. La Procura generale di Catanzaro aveva chiesto condanne più severe per Domenico e Lucia Di Grillo che si vedono invece ridotta la pena

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di Giuseppe Baglivo
10 luglio 2024
16:34
Nel riquadro, Matteo Vinci
Nel riquadro, Matteo Vinci

Arriva la sentenza di secondo grado per il processo nato attorno alle vicende che hanno portato all’autobomba di Limbadi costata la vita il 9 aprile 2018 al biologo Matteo Vinci Il verdetto è stato emesso dalla Corte d’Assise d’Appello dopo l’intervento dei difensori degli imputati che avevano invocato l’assoluzione per i rispettivi assistiti. Questa la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro: ergastolo confermato per Rosaria Mancuso, 66 anni, di Limbadi e per il genero Vito Barbara, 30 anni, ritenuti i mandanti dell’attentato. 

Per Domenico Di Grillo (marito di Rosaria Mancuso), 74 anni, di Limbadi, la pena è stata invece rideterminata in 6 anni in luogo dei 10 anni del primo grado (la Procura generale aveva chiesto per lui la condanna a 22 anni). Per Lucia Di Grillo (figlia di Rosaria Mancuso), infine, la pena è stata rideterminata in 3 anni in luogo dei 3 anni e 6 mesi del primo grado (la Procura generale aveva chiesto per lei la condanna a 14 anni). Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Giovanni Vecchio e Francesco Capria per Rosaria Mancuso; Francesco Capria e Gianfranco Giunta per Domenico Di Grillo; Giovanni Vecchio e Fabrizio Costarella per Vito Barbara; Giovanni Vecchio e Stefania Rania per Lucia Di Grillo. L’accusa era rappresentata in aula dal sostituto procuratore generale di Catanzaro Marisa Manzini.


Il verdetto di primo grado

In primo grado il reato di tentato omicidio – riferito ad un episodio del 30 ottobre 2017 – era stato riqualificato dalla Corte nel più lieve reato di lesioni personali. Da tale reato Domenico Di Grillo è stato ora assolto in appello. In particolare, Domenico Di Grillo, Vito Barbara e Rosaria Mancuso erano accusati di aver colpito con un’ascia ed un forcone Francesco Vinci, con Rosaria Mancuso che avrebbe incitato gli altri due gridando: “Ammazzatelo, ammazzatelo”. I colpi hanno provocato a Francesco Vinci un focolaio emorragico, una frattura scomposta della mandibola, una ferita al cranio, una ferita al viso, una vasta lacerazione della mucosa interna della guancia e ferite alle mani.
Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Lucia Di Grillo sono stati poi ritenuti responsabili della detenzione illegale nel 2018 e della ricettazione di una pistola da ritenersi clandestina, oltre che della detenzione illegale di un fucile a pompa con matricola punzonata e della detenzione illegale di numerose munizioni, alcune caricate a pallettoni.

Non aveva retto già in primo grado, invece, l’accusa di estorsione aggravata dalle modalità mafiose mossa a Domenico Di Grillo, al genero Vito Barbara, a Lucia Di Grillo, e a Rosaria Mancuso. Nello specifico, gli imputati – secondo l’accusa – avrebbero intimato a più riprese ai coniugi Vinci-Scarpulla di cedergli il fondo del quale erano proprietari sito a Limbadi in contrada Macrea. Stessa formula assolutoria anche per il reato di minaccia aggravata dalle modalità mafiose contestato a Vito Barbara, Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo in relazione alle pressioni rivolte nei confronti di Francesco Vinci e Sara Scarpulla a cedere i loro terreni. Tra 90 giorni il deposito delle motivazioni della sentenza di secondo grado.

Giornalista
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