È sicuro Agostino Cambareri che un giorno suo figlio gli «farà le scarpe». Un’aspirazione legittima da parte di ogni padre, se non fosse che la strada che il 46enne di Gioia Tauro intravedeva per il suo bambino di 8 anni era quella del trafficante di droga. Uno spaccato inquietante, quella che emersa nell’inchiesta “Cattiva strada”, eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e coordinata dalla procura dello Stretto.

 

I militari dell’Arma scoprono, attraverso una serie di intercettazioni, «lo sconvolgente coinvolgimento – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale reggino - nel traffico illecito del Cambareri anche del figlio minorenne di appena 8 anni, nonostante la tenerissima età, non solo si rivelava essere consapevole dell’attività svolta dai genitori ma vi partecipava anche attivamente suscitando l’ammirazione del padre che osservava orgogliosamente che un giorno gli “avrebbe fatto le scarpe”».

 

Gli investigatori sottolineano la «pericolosità sociale» di Cambareri, una preoccupazione fondata per un padre che non ha nessun rimorso a coinvolgere un bambino, suo figlio di 8 anni, nei suoi traffici illeciti. Cambareri, secondo quando sostengono gli inquirenti nelle carte dell’inchiesta, parlava tranquillamente con il figlio di droga e di armi, istruendolo anche su come venivano risolti i contrasti con i fornitori internazionali: «Che facevano? Una guerra succedeva qua…avevano kalashnikov, tutto…così lo potevi ammazzare, lo sotterravi e non sapeva niente nessuno, invece lì colombiani…venivano qua sai che facevano? Il macello».