VIDEO | Lo dichiara Francesca Mallamaci del centro antiviolenza e della casa rifugio Angela Morabito rivelando un incremento di chiamate. Aperto a luglio uno sportello a Polistena
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Liberarsi dalla violenza per le donne è possibile grazie a servizi di prossimità, come quelli offerti dal centro antiviolenza e casa rifugio Angela Morabito, già centro Suor Castellini, attivo a Reggio Calabria dal 2013. Due i livelli di intervento in relazione alla richiesta di aiuto.
La donna che si rivolge al centro viene affiancata con le attività dello sportello di ascolto e accoglimento del bisogno, consulenze psicologiche, legali e sociali, percorsi di affiancamento e progetti di inserimento lavorativo, attività educative per minori e, se la situazione di pericolo è tale da renderlo necessario, con l’accoglienza in casa rifugio con eventuale prole. Sono aiutate e accolte anche coloro che sul momento scelgono di non denunciare.
Fenomeno in graduale emersione
«Il fenomeno della violenza sulle donne è sempre esistito - ha spiegato Francesca Mallamaci, responsabile del centro antiviolenza Angela Morabito - Adesso è in graduale emersione. Le richieste di aiuto sono in aumento. Le donne che ci contattano, chiedendo di essere supportate in un percorso di fuoriuscita, sono in numero crescente e questo testimonia una maggiore consapevolezza in capo alle stesse ma è necessario continuare a lavorare specie per rafforzare la rete di servizi socio-sanitari e assistenziali, in molti suoi segmenti carente e sguarnita ed invece essenziale per attuare una protezione efficace, credibile e duratura per le donne che arrivano a chiedere aiuto e a denunciare».
«Il coraggio e la forza manifestati da una scelta così difficile - ha aggiunto - specie quando ci sono figli e figlie anche di tenera età, vanno custoditi attraverso risposte coerenti e strutturate».
In quanto centro accreditato, perché ammesso nel 2021 al finanziamento nell’ambito del bando della Presidenza del Consiglio dei Ministri, esso è inserito nella rete accessibile tramite il numero gratuito 1522 ed è anche dotato di un proprio numero verde 800 170 940, attivo 24 ore su 24 tutti i giorni.
I dati da gennaio a settembre 2021
Ecco alcuni dati relativi all’attività svolta nell’anno in corso, estratti nell'ambito del monitoraggio periodico finalizzato alla trasmissione dei dati stessi alla regione Calabria e al loro inserimento sulle piattaforme Istat.
«Fino al 30 settembre di quest’anno per la casa rifugio abbiamo registrato 53 contatti, a fronte dei 27 del 2019 e dei 43 del 2020. Tredici sono state le donne accolte, alcune delle quali con figli. Dieci sono stati, infatti, i minori a loro volta accolti. Sono stati dunque avviati tredici percorsi individualizzati per la fuoriuscita dalla condizione di violenza. Quest’anno le situazioni sono state tali che i tredici inserimenti residenziali nella casa rifugio sono stati tutti eseguiti d’urgenza, quindi con il coinvolgimento delle forze dell’ordine.
Nello stesso specchio temporale, 328 donne hanno telefonato al nostro centro antiviolenza, anche solo per acquisire le prime informazioni, rispetto alle 150 che ci hanno contattato nel 2019 e alle 400 del 2020. Sono seguiti 97 accessi con colloqui successivi, in base all’esigenze. Le donne che hanno intrapreso con successo i percorsi di affrancamento sono state 46. Tanto il centro di antiviolenza quanto la casa rifugio non sono servizi strutturati. Essi, dunque, sono finanziati con fondi inviati alla Regione dal dipartimento Pari Opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri di fondi previsti dalla legge regionale 20 del 2007.
Infatti, per esempio, i progetti finalizzati all’acquisizione di competenze o alla riscoperta delle stesse, si attivano attraverso delle borse lavoro, generalmente di durata semestrale, finanziate dalla Regione Calabria. Borse lavoro alle quali può seguire un contratto vero e proprio. Nonostante, infatti, questo sia un territorio difficile e avaro di opportunità, abbiamo registrato anche dei successi significativi», ha spiegato ancora la responsabile del Centro, Francesca Mallamaci.
L'incremento di contatti durante la pandemia. Sempre poche le denunce
Richieste di supporto, dunque, in aumento negli ultimi anni. «Complice anche l’avvento della pandemia, durante la quale non ci siamo mai fermate e abbiamo cercato di implementare le possibilità di contatto, molte donne si sono ritrovate intrappolate a casa con il maltrattante. Molte di loro non erano neppure pienamente consapevoli della loro condizione e delle possibilità di fuoriuscita.
C’è un grande lavoro da fare proprio sulla consapevolezza e sull’attribuzione di responsabilità circa le condizioni di malessere in cui ci si ritrova. Spesso le donne maturano un senso di colpa che va decostruito. Un processo necessario, non semplice ma possibile», ha spiegato ancora Francesca Mallamaci. Un’emersione che, dunque, è graduale, che resta fondamentale anche se, ancora, troppo poco spesso la richiesta di aiuto si traduce in denuncia.
La denuncia, possibilità non obbligo
«Le denunce sono sempre poche. Dobbiamo continuare a lavorare e ad investire energie sull’attività di sensibilizzazione, alla quale anche i centri antiviolenza come questo stanno contribuendo. È bene, comunque, chiarire non tutte le donne che chiedono il nostro aiuto denunciano. Molte ci arrivano dopo e, comunque, non è detto che tutte lo facciano. Nei percorsi che proponiamo, la denuncia non è condizione di accesso ai nostri servizi o passaggio obbligato ma può diventare una fase del processo di autodeterminazione della nuova condizione di vita. Per noi è fondamentale rispettare i tempi della donna e la sua volontà.
Ogni situazione, poi, richiede una valutazione a sè per soppesare il livello di rischio e le varie implicazioni derivanti. A volte sono proprio le forze dell’ordine, che intervengono in una situazione di flagranza a metterci in contatto con donne sole o isolate che necessitano di tutela e protezione. Ci sono poi donne che ci contattano per essere affiancate e supportate, pur essendo nelle condizioni di fuoriuscire con percorsi graduali autonomi e senza inserimento residenziale. Donne che hanno la possibilità di staccarsi dall’ambiente familiare per vivere in altro appartamento o che abbiano una rete familiare e amicale alla quale appoggiarsi. A volte ci contattano donne in fuga, senza mezzi economici e con i soli vestiti addosso.
Dunque i percorsi di fuoriuscita possono essere diversi, perché diverse sono le storie e le situazioni, e possono anche essere pianificati. Il tutto avviene sempre con il pieno coinvolgimento della donna, accompagnata nel processo di acquisizione della consapevolezza e nel percorso di autotutela, con il supporto della nostra equipe multidisciplinare, composta da assistente sociale, psicologa psicoterapeuta e avvocata, educatrici, operatrici dedicate al primo ascolto e mediatrice interculturale, proprio per essere in grado di supportare tutte le donne, anche quelle di altre nazionalità. Abbiamo avuto diverse donne dell’Est e africane anche se recentemente il maggior numero di donne che ci contattano sono di nazionalità italiana», ha spiegato ancora la responsabile Francesca Mallamaci.
Il potenziamento della rete e l'esperienza di Polistena
Non basta, però, che operino i centri antiviolenza. La rete istituzionale dei servizi di cui i centri antiviolenza fanno parte andrebbe certamente colmata nelle sue innumerevoli lacune e potenziata, per garantire una presenza maggiormente capillare sui territori. Il centroantiviolenza Angela Morabito sta, intanto, mettendo a punto un’attività di sensibilizzazione nella Piana per il rilancio dello sportello di Polistena aperto quest’anno ma, ad oggi, senza i riscontri attesi.
«Avevamo ricevuto delle segnalazioni di rilievo e delle richieste di intervento tramite il nostro numero verde e attraverso la comunità Luigi Monti di Polistena. Abbiamo, pertanto, deciso di aprire uno sportello su quel territorio. Lo abbiamo inaugurato a luglio in occasione di una conferenza stampa molto partecipata e l'equipe si è spesa molto per la promozione. Tuttavia, ad oggi non ci sono stati dei contatti. C'è ancora molto da lavorare», ha concluso la responsabile del Centro, Francesca Mallamaci.