«Siamo a un altro libro». Così Veneranda Verni, 54 anni, moglie del boss Vito Martino sancisce il distacco dalla cosca Grande Aracri nel momento in cui si apprende della collaborazione (poi fallita) del capo cosca Nicolino Grande Aracri. Sulla figura di questa donna si soffermano gli investigatori del comando provinciale dei carabinieri di Crotone e i magistrati della Dda di Catanzaro. Veneranda Verna non appare come una mera staffetta dei messaggi del coniuge ma il suo polso, la sua capacità di comando, si manifestano anche prima che il vulnus causato dall’apparente defezione di Nicolino Grande Aracri portasse in auge il comando dei Martino.
Il collaboratore di giustizia Giuseppe Liperoti già nel 2017 dichiarava che la vittima di un atto intimidatorio si era rivolta alla Verni per avere protezione e che i proventi delle estorsioni venivano consegnati a lei.

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Il ruolo «dirigenziale e organizzativo» di Lady Martino

Veneranda Verni oggi è indagata per associazione mafiosa, non una semplice gregaria ma intranea al contesto associativo.
La Distrettuale antimafia la considera «già organica alla cosca Grande Aracri di Cutro» e con «ruolo dirigenziale e organizzativo della ‘ndrina Martino». Non era solo la voce di suo marito ma «in autonomia operativa, gestiva in prima persona le attività estorsive in danno degli imprenditori e commercianti di Curro; riceveva da Giuliano Muto (classe ‘88) i proventi derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti effettuato dall’organizzazione. Intratteneva rapporti con esponenti delle altre consorterie mafiose, in particolare con quella dei Mannolo di San Leonardo di Cutro, interveniva per dirimere controversie».
Lady Martino è anche direttamente coinvolta nei reati fine dell’associazione: le estorsioni e il traffico di droga.
È lei a ordinare a Salvatore Peta, contesta la Dda di Catanzaro, di restituire a un fornitore una partita di stupefacente di qualità scadente.

Le riunioni in famiglia e la gestione della bacinella

Inoltre le intercettazioni metterebbero in luce come Veneranda Verdi partecipasse «alle principali riunioni con i familiari per disquisire sugli assetti e sulle prospettive della cosca contribuendo ad assumere le decisioni più importanti».

Verni – raccontano i brogliacci dell’inchiesta – dimostra di avere potere anche nella gestione della bacinella (ovvero la cassa comune della consorteria). A settembre 2021, infatti, mette a conoscenza una donna sul fatto che il figlio si fosse appropriato della somma di 10mila euro «che aveva messo da parte per pagare gli avvocati per lei e per Giuseppina Mauro (moglie di Nicolino Grande Aracri, ndr). Sottolineava che fino al 2008 non le erano mancati i denari poiché i “cristiani” erano tutti liberi e portavano in occasione delle ricorrenze anche 3000 euro a testa».

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Soldi da parte della cosca Mannolo

I soldi a Verni li consegnano anche esponenti della famiglia Mannolo. Una captazione dei carabinieri del 2022 rivela una cospicua dazione di denaro da parte di un certo Giuliano che consegna i soldi a Veneranda Verni. Lei gli prospetta «la situazione di temporanea difficoltà economica dovuta anche al fatto che altre persone dovevano ancora consegnare del denaro. L’uomo continuava dicendo che, alla richiesta d’aiuto economico di Veneranda, egli si era dato immediatamente da fare. Poi Veneranda, nel ringraziarlo, faceva capire che nel chiedere il denaro ad altri soggetti non vorrebbe mai spendere il nome di suo marito».

«Scoppierà una guerra»

Quando, a quattro giorni da un litigio tra Francesco Martino (figlio di Vito Martino e Veneranda Verni) e il boss di papaniciaro Domenico Megna, viene dato fuoco all’auto del giovane, Veneranda Verni ipotizza che qualcuno avesse voluto innescare una miccia per far riaprire le ostilità tra i Martino e i Ciampà (storici nemici della cosca Grande Aracri), facendo credere che a compiere l’attentato erano stati questi ultimi. Allo stesso tempo la donna sostiene che se viceversa fossero stati proprio i Ciampà lei avrebbe innescato una guerra: «Poi se si è permesso qualcuno alle sei di mattina, di giorno, senza motivo, si deve prendete le sue responsabilità… Tizià, scoppierà una guerra! Una guerra».

Lezione di silenzio al figlio

È sempre Verni che riprende con vigore il figlio Francesco accusandolo di star parlando troppo con terze persone. «Francesco! Parla poco! Che Salvatore (il fratello di Francesco, ndr) ti manda all’ospedale». La madre sgrida il figlio perché ha raccontato a una ragazza di Cirò dell’incendio della macchina. «E sempre che parla con questa qua e sempre che parla di questa macchina e sempre che parla di questi fatti! […] E vai, vai scemo vai! Che ne sono morte di persone... stupido, vai! E sempre che deve parlare vicino i cristiani…». Verni è adiratissima, ricorda al figlio che fin da quando era piccolo sta cercando di insegnargli a non parlare in giro degli affari della famiglia. E mentre quello cerca di smarcarsi dall’ira della madre, lei lo aggredisce: «Ti sto dicendo che se sento ancora una parola in più ti ammazzo! Ti scanno!».

La reprimenda a Giuliano Muto

In seguito all’arresto di Salvatore Martino, viene posto Giuliano Muto, classe ’88, a gestire le attività della cosca. Ma Muto, si scoprirà, avrebbe impiegato parte dei proventi dello spaccio per festeggiare il suo compleanno. Non solo: risultava si stesse mal interfacciando con i fornitori e, da ultimo, si era reso responsabile di furti ai distributori automatici di bevande. I Martino decidono di estrometterlo. Anche in questo frangente, sostiene la Dda, emerge il ruolo di Veneranda Verni. Lady Martino fa una grossa reprimenda a Muto davanti alla madre di lui: «Giulià, abbiamo parlato ieri in macchina, tu hai fatto talmente di quei sbagli che non ti rendi conto, che sono sbagli che nella vita... non vostra, che dovete fare chissà che... della compagnia, non si fanno! Non si fanno!»