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"Lascio un ufficio a Catanzaro con delle belle indagini, degli ottimi colleghi e questo è il mio rammarico". A dirlo è stato Gerardo Dominijanni, nuovo procuratore della Repubblica aggiunto di Reggio Calabria, ospite del contest Tabularasa. "La speranza - ha aggiunto - è quella di trovare a Reggio altrettanti colleghi validi e continuare così il mio lavoro". Il magistrato, nel corso dell'incontro con Raffaella Calandra, ha tracciato le differenze tra i due territori calabresi: "Catanzaro - ha detto - è certamente un territorio diverso da Reggio ma sotto certi aspetti tra i due ci sono molte similitudini. Il capoluogo di regione non è certo inferiore a Reggio Calabria dal punto di vista della criminalità organizzata. La realtà di Catanzaro, però, differisce perché è più provinciale. Lì tutti conoscono tutti anche se la mentalità mafiosa è sempre la stessa".
Dominijanni, rispondendo alle domande di Raffaella Calandra ha parlato anche del "filo sottile che lega politica e 'ndrangheta" che passa "attraverso il consenso". Secondo il magistrato "spezzare il consenso significa spezzare il meccanismo perverso di quell'atteggiamento mafioso che è lo stesso, tanto nella pubblica amministrazione, quanto nella 'ndrangheta". "Molte volte - ha spiegato - l'attività della pubblica amministrazione e quella della 'ndrangheta si sovrappongono e vanno a coincidere, per questo la gente è convinta che la magistratura debba impedirlo. In realtà non è così. La magistratura interviene sempre dopo che ha ricevuto una notizia di reato o perché le indagini hanno svelato altri filoni, non può intervenire prima e quasi sempre interviene dopo che il danno è stato fatto. Certo l'indagine può impedire che ne vengano commessi altri, ma non sempre è così". Quello che manca per Dominijanni "sono i controlli all'interno delle amministrazioni". "In tutte le indagini che ho condotto - ha sottolineato - c'è sempre stato un doppio binario: quello della responsabilità penale e quello della responsabilità amministrativa, solo che ad una indagine della Procura non sempre corrisponde una azione dell'amministrazione tale da impedire che chi è indagato smetta di lavorare e quindi ipoteticamente di fare danni. Certo, c'è sempre la presunzione di innocenza, ma col dubbio non è possibile lasciare indisturbati nei loro uffici quanti sono processati per reati legati alla pubblica amministrazione. E' qui che si deve intervenire. A questo aggiungi che non c'è attività di controllo sull'operato di quella persona e questo aumenta la sfiducia dei cittadini". "Ciò che preoccupa - ha concluso Dominijanni - è che è più difficile occuparsi di pubblica amministrazione che di 'ndrangheta, perché mentre la 'ndrangheta è palesemente considerata negativa da tutti, tranne che da chi ne fa parte, la pubblica amministrazione corrotta o comunque coinvolta in scandali giudiziari, non è ancora avvertita come un pericolo per se stessi, si pensa sempre, commettendo un enorme sbaglio, che sia un problema che riguarda altri". (ANSA)