Pesanti dubbi nelle parole del gip sulle operazioni eseguite dalla Bieco dopo lo sversamento del 22 giugno 2023. I tecnici dell’Arpacal: «Pesci morti alla foce del fiume Nicà»
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C’è un prima e c’è un dopo nella vicenda della discarica di Scala Coeli su cui la Procura di Castrovillari sta cercando di fare luce. Un prima e un dopo lo sversamento di 15mila metri cubi di percolato avvenuto il 22 giugno 2023: le cause a monte e gli eventi immediatamente successivi.
Nel prima c’è un tubo. Ne abbiamo già parlato, un tubo «non risultante da alcuna progettazione e/o autorizzazione», scrive il gip del Tribunale di Castrovillari Luca Fragolino nell’ordinanza di sequestro dell’impianto, che dall’interno dell’invaso finiva all’esterno. Sarebbe stata questa la via d’uscita del percolato. Un manufatto «posto in opera in fase di cantiere (…) con la funzione di canalizzare e quindi espellere l’acqua piovana durante la costruzione dell’invaso», come descritto dal geologo incaricato dopo l’evento dalla Bieco, la società proprietaria della discarica, nella sua relazione. Posizionato durante i lavori di ampliamento e mai rimosso, ma tombato.
Ma nel prima c’è anche l’ipotesi della presenza di eccessivo materiale di scarto, quindi non correttamente smaltito, all’interno dell’impianto. Anche su questo ci siamo già soffermati.
Pesci morti alla foce del Nicà
Il dopo è l’inquinamento ambientale rilevato dai campionamenti dell’Arpacal nei corsi d’acqua e documentato nella relazione dell’Ispra citata nell’ordinanza del gip: vi si parla di metalli pesanti oltre i limiti consentiti. Un inquinamento su cui gettano ulteriori dubbi alcune dichiarazioni riportate nelle carte delle indagini.
C’è la testimonianza di un biologo dell’Arpacal di Cosenza, recatosi sul posto il giorno successivo allo sversamento. «Ho potuto constatare – racconta agli inquirenti – a circa quattro o cinquecento metri a monte della foce (…) la presenza di alcuni pesci morti (due o tre)». Ne aveva reso conto anche un altro funzionario dell’Agenzia regionale: «Il mio collega (…) mi ha riferito di aver notato all’atto del campionamento la presenza di pesci morti alla foce del fiume Nicà».
E poi c’è un breve estratto di una conversazione tra uno dei due fratelli Fuoco – entrambi indagati – e un’altra persona, durante la quale il primo afferma di aver trovato «un altro cane morto nella vasca… o una volpe… boh».
Le operazioni dopo lo sversamento
Sotto la lente della Procura anche le operazioni messe in campo dopo quel 22 giugno. Gli inquirenti vogliono chiarire, insomma, se sia stato fatto tutto il necessario per evitare il disastro ambientale ipotizzato nei capi d’accusa.
La Bieco, dal canto suo, dichiara di aver provveduto agli adempimenti del caso, intervenendo nelle prime ore dallo sversamento per delimitare la dispersione di percolato. A questo proposito l’ordinanza del gip riporta la testimonianza dello stesso funzionario dell’Arpacal di Cosenza già citato, inviato a verificare: «Al mio arrivo sul posto ho constatato che la maggior parte del percolato si era già riversata nel fosso Capoferro, nel torrente Patia e nel fiume Nicà. Preciso che al mio arrivo il gestore aveva già predisposto delle barriere di contenimento (…)». Nei giorni successivi, dichiara ancora il funzionario, la Bieco avrebbe «proceduto all’aspirazione e totale asportazione delle acque miste a percolato accumulatesi nei bacini di contenimento ed al successivo invio in impianti idonei al trattamento» e avrebbe poi «effettuato la scarifica del fondo».
A riprova delle operazioni eseguite dalla Bieco ci sarebbero i Fir, i formulari di identificazione dei rifiuti comprovanti il trasporto e lo smaltimento. Ma, scrive il gip, «le risultanze investigative documentano il sistematico tombamento del percolato nei letti dei corsi d’acqua superficiali interessati dall’originario sversamento (…) attraverso il prelievo di terreno dalle aree circostanti e dagli stessi corpi idrici (tutti costituenti beni demaniali)».
Tra gli elementi raccolti dagli investigatori due esposti. Uno del 25 luglio 2023 inviato da Legambiente che «evidenziava come una parte dei lavori di arginatura aveva comportato (…) estirpazione di vegetazione e movimento terra per l’intera larghezza del torrente Patia (…) e come nel greto sito nel punto di confluenza tra il torrente e il fiume Nicà si fosse creato, dopo la creazione degli argini, un lago artificiale intriso di percolato di discarica presente almeno fino al 2 luglio e, viceversa, interessato da integrale copertura di sabbia all’esito di ulteriore accesso del 24 luglio».
L’altro è del 26 luglio 2023 e proviene dalla proprietaria di un’azienda agricola del luogo che «denunciava che “ampie sacche di percolato sono ancora presenti” e che parte del letto era stato “ricoperto con terra di riporto”». Affermazioni poi ribadite dal padre della donna, sentito dagli inquirenti: «Dopo circa due/tre giorni, il percolato rimasto è stato aspirato e caricato su alcuni camion a cura della ditta. A tal punto, gli operai lì presenti hanno preso il terreno dall’argine e lo hanno riversato nel letto del torrente per coprire la parte interessata dal passaggio del percolato. (…) Preciso inoltre che quel giorno, quando mi sono recato sul posto, ho trovato un escavatore che prelevava il terreno dall’argine e lo riversava nel torrente Patia. Mi veniva in particolare riferito che tale azione veniva eseguita per far asciugare velocemente il terreno su cui è passato il percolato e che successivamente questo terreno sarebbe stato tolto e portato via. Ma di questo io non ho visto nulla (…)».
Le immagini di videosorveglianza
Inoltre, riporta il gip, le immagini di videosorveglianza acquisite dai Forestali avrebbero documentato «l’evidente impiego di terreno vegetale quale materiale assorbente riversato all’interno del piazzale con lo scopo di assorbire e raccogliere il percolato fuoriuscito dall’invaso della discarica, ed il successivo spandimento del terreno immediatamente al di fuori dell’impianto attraverso una pala meccanica».
«Altre immagini – scrive ancora il gip – documentano le attività eseguite mediante la pala meccanica, denotandosi la presenza del percolato che viene mescolato a terreno e poi trascinato fuori dall’impianto».
Conclude il giudice per le indagini preliminari: «Se ne desume (…) che in luogo dell’aspirazione del percolato finalizzato al successivo avvio allo smaltimento, la società, con l’ausilio dei mezzi dei f.lli Fuoco, eseguiva un’attività di miscelazione del terreno prelevato nei pressi dell’impianto con il percolato, per poi condurre detto amalgama al di fuori della discarica, risistemandolo nell’argine del torrente».