Diritto di cronaca salvo, nella lunga vicenda che vedeva contrapposti in tribunale il giornalista Agostino Pantano e Giovanni Pecora, vicepresidente della fondazione antimafia Antonino Scopelliti e padre di Aldo, presidente di “Adesso ammazzateci tutti”.

 

La Corte d’Appello di Reggio Calabria, ribaltando la sentenza di primo grado del Tribunale di Palmi, ha condannato l’attivista antimafia riconoscendo il suo reato di diffamazione aggravata ai danni del cronista costituito parte civile.

 

La vicenda della residenza della famiglia Pecora nel palazzo del boss di Polistena era scoppiata nel 2012, a seguito di un articolo di Pantano che all’epoca lavorava per il Corriere della Calabria.

 

La reazione a quell’inchiesta – si legge in una nota - fu una scientifica campagna di odio e di fango contro il giornalista, specie su internet ma anche sui giornali e sulle tv nazionali, e Pantano fu costretto a querelare per difendere il suo lavoro dagli attacchi di chi non aveva digerito una notizia vera e mai smentita. In primo grado l’imputato era stato assolto dal giudice, che considerò gli improperi di Pecora – l’epiteto di “mascalzone” ma anche l’accusa che il giornalista facesse “parte di un’associazione a delinquere” – frutto del suo diritto di critica, definendolo superiore al diritto di cronaca del professionista.

 

In pratica – si legge ancora - il giudice aveva riconosciuto l’appropriatezza dei servizi di cronaca del giornalista, ma non aveva censurato la palese incontinenza di linguaggio e l’orchestrazione dei ripetuti attacchi da parte dell’imputato, che aveva agito in combutta con altri nel suo intento di diffamare il cronista. 

 

Contro la sentenza aveva proposto appello sia la parte civile, difesa dall’avvocato Maria Corio, sia la procura di Palmi guidata dal procuratore Ottavio Sferlazza.


“Fortunatamente – dichiara oggi il giornalista - non solo a me è sembrata assurda la sentenza di primo grado, arrivata con modalità che mi avevano costretto a presentare altri esposti il cui esito, ora, il pronunciamento della Corte d’Appello potrebbe accelerare. Questa vicenda dimostra che anche nell’epoca della critica libera su internet, le regole esistono per tutti. Io non ho mollato in questi anni, non perché fosse in discussione il mio onore o per difendere un’inchiesta vera, ma per invitare la parte sana dell’antimafia civile, in cui credo, a guardarsi dentro senza creare sacche di impunità”.


Pecora è stato condannato ad una multa di 600 euro, pena sospesa, e a rifondere le spese legali sostenute dalla parte civile nei due gradi di giudizio, mentre la Corte ha disposto che il risarcimento da riconoscere a Pantano debba stabilirsi in sede civile.


Pantano, che oggi collabora con il network calabrese LaC, fa parte del Consiglio nazionale dell’Unci (Unione nazionale cronisti italiani) ed è iscritto all’associazione Articolo 21. Era stato al centro di un altro assurdo caso giudiziario: processato per ricettazione di notizie sullo scioglimento per mafia di un consiglio comunale, il 14 luglio scorso era stato assolto perché il fatto non sussiste.