Il penalista catanzarese controreplica all'avvocato Silvia Gulisano legale dell'ex parlamentare 5 Stelle: «Ringrazio la collega per la lezione di etica professionale ma le sentenze si possono anche capire leggendo il dispositivo»
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«È noto che non è mia abitudine di replicare alle osservazioni giuridiche che mi vengono rivolte, anche pubblicamente, da persone non dotate della competenza necessaria per discorrere di diritto. Ancora di recente, infatti, sono stato fatto bersaglio di svariate valutazioni da parte di un’imprenditrice catanzarese, la quale ha perso un’importante causa civile riguardante uno stabilimento balneare, senza che io, coerentemente, battessi un colpo».
«Anche se altre persone si sono intromesse in questo “non dialogo” pubblico, simpaticamente travisando il mio pensiero, è giusto che io spieghi il motivo per il quale non cedo, ordinariamente, al vezzo, tipico dei politici, di piazzarsi sul palcoscenico per discettare della “qualunque” pur di occupare una tribuna e non distogliere l’attenzione da sé (incidentalmente osservo che ha perfettamente ragione l’on. Tassone il quale afferma che “i personalismi sono la negazione della politica». È quanto si legge in una nota diffusa dall’avvocato Nunzio Raimondi in replica ad una precedente nota divulgata dall’avvocato Silvia Gulisano.
Oggetto del dibattito la sentenza di non luogo a procedere emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro nei confronti di Giuseppe D’Ippolito, avvocato ed ex parlamentare 5stelle finito a processo con l’accusa di diffamazione nei confronti dell’ex senatore Pietro Aiello. «Solo in un’altra occasione, oltre quella che m’impegna oggi, sono stato costretto ad intervenire su questioni tecniche: l’ho fatto con una giornalista, non di questa Testata, la quale si ostinava a sostenere il contrario di ciò che un’ordinanza di un giudice aveva disposto. Ecco, oggi è avvenuta la stessa cosa, ma da parte di una simpatica e molto competente collega.
Ha scritto su questa testata, infatti, l’avvocato Silvia Gulisano, che l’on. D’Ippolito non è stato condannato dalla Corte di Appello di Catanzaro con la sentenza di non luogo a procedere emessa, nei suoi confronti, per intervenuta prescrizione
. Certo non vi è stata condanna penale (e non poteva esservi) perché l’intervenuta prescrizione (secondo la giurisprudenza più avvertita) ha impedito alla Corte di confermare la sentenza di condanna (come aveva chiesto la parte civile) emessa in primo grado, ovvero di riformarla, come aveva chiesto l’appellante.
Ma non si può dire che non vi sia stata condanna civile senza commettere un grave errore, perché sulla denunzia del senatore Aiello d’esser stato diffamato dall’avvocato D’Ippolito, quest’ultimo è stato rinviato a giudizio, processato dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme in primo grado e condannato a mesi quattro di reclusione. In quella sentenza alla parte civile Pietro Aiello è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno (da liquidarsi in separato giudizio civile) e sono state liquidate le spese legali per quel grado di giudizio.
La sentenza in questione è del 2018. In seguito alla sentenza di condanna l’on. D’Ippolito ha proposto impugnazione chiedendo la riforma della sentenza di primo grado e l’assoluzione nel merito. La parte civile ha chiesto che venisse emessa sentenza di conferma della della sentenza di condanna di primo grado.
La Corte di Appello (se l’avvocato Gulisano lo gradisce posso anche intrattenermi sulle ragioni per le quali una sentenza del 2018 è stata decisa in appello nel 2023, nonostante le numerose istanze della parte civile di trattare il processo in appello prima che decorresse il termine prescrizionale…nel silenzio della difesa dell’imputato), ha emesso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, aggiungendo nel dispositivo un piccolo particolare che non sarà sfuggito all’attenta collega.
Ossia: la Corte ha dichiarato l’intervenuta prescrizione del reato confermando le statuizioni civili della sentenza di primo grado e condannando l’on. D’Ippolito al pagamento delle spese sostenute, anche nel processo di appello, dalla costituita parte civile sen. Pietro Aiello (a chi scrive ex onorevole ovvero ex senatore, ricordo che il titolo onorifico non si perde con il venir meno della carica).
Inoltre, a mente dell’art. 129 c.p.p., applicabile anche nel giudizio di appello, se la Corte avesse ritenuto che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo abbia commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo avrebbe dichiarato d’ufficio con sentenza. E non solo.
Quando ricorre una causa di estinzione del reato (come nella specie) ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta.
Ergo: non vi è alcuna necessità di leggere la motivazione della sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione con conferma delle statuizioni civili del primo giudice e condanna alle ulteriori spese processuali del giudizio di appello, per comprendere che il giudice non ha ritenuto che ricorresse l’evidenza per accedere a qualsivoglia formula assolutoria.
E mentre ringrazio la collega per la lezione di etica professionale che ha impartito ad un suo collega con appena trentacinque anni di “onorato servizio” professionale, ossia che occorre leggere le motivazioni prima di commentare le sentenze (mio Dio, lo ignoravo!), faccio presente che le sentenze si possono anche capire leggendo semplicemente il dispositivo, quando questo è chiaro ed inequivocabile.
E per fugare ogni residuo dubbio, desidero far presente che la condanna alle spese di giudizio in favore della parte civile è esecutiva. A semplice richiesta il collega D’Ippolito sa benissimo che dovrebbe pagarle. Il diritto al risarcimento del danno (an) è già stato accertato dal giudice penale con una “doppia conforme” sul piano civile. Rimane soltanto da quantificarlo e liquidarlo con un giudizio civile di semplice trattazione, senza che si debba discutere oltre della tenutezza a risarcire il danno. E mi pare tutto».