Per il delitto del diciannovenne, ucciso e fatto a pezzi, nessuno ha mai pagato. I familiari continuano a chiedere di conoscere la verità e che chi lo ha ucciso paghi
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«Ciao gigante, con oggi sono dieci anni che ci hai lasciato, ma purtroppo non per tua volontà ma per dei vermi di terra che hanno deciso il tuo destino. Sei stato un agnello portato al macello, ti hanno ucciso nel peggiore dei modi. E poi quello che fa ancora più male caro gigante è che dopo dieci anni nessuna verità è giustizia, i tuoi assassini sono liberi a godersi la vita come se nulla fosse».
Inizia così la lettera indirizzata dai familiari di Pasquale, nel giorno in cui ricorre l’anniversario dal giorno della sua scomparsa. Un giorno, l’undici ottobre, che per loro rimarrà per sempre un’ombra, una macchia nera sul calendario, perché da quel giorno la loro vita non è stata mai più la stessa.
Era alto più di due metri Pasquale Andreacchi, un ragazzone buono, di appena 19 anni, nato e cresciuto a Serra San Bruno. Scomparve per poi essere ritrovato ucciso, a pezzi, probabilmente anche divorato dagli animali selvatici. Unica pista seguita, quella di un debito non saldato per l’acquisto di un cavallo.
Il giovane contava di avere un premio assicurativo che gli consentisse di fare fronte all’intera cifra, ma il denaro non era arrivato e lui avrebbe confidato di essere stato più volte minacciato dai proprietari dell’animale che volevano che il debito fosse pagato.
Ma questa pista non ha portato a nulla. Il caso è stato anche archiviato, poi riaperto, alcune testimoni si sono ritirati. La famiglia ha cambiato negli anni diversi legali. Le indagini sembrano ferme ad un punto morto. Eppure, qualcuno ha premuto quel grilletto che ha sparato i colpi che hanno causato i fori al femore e al cranio di Pasquale. E quel qualcuno è a piede libero.
«Non ci fermeremo prima o poi la verità e la giustizia dovrà arrivare, ma la più pesante sarà quella divina- si legge ancora nella lettera - e già proprio quella perché Dio non dimentica».