Venti anni fa, nel 1999, l'area portuale di Diamante era un posto pregiatissimo su cui costruire il futuro e l'identità non soltanto di una città turistica tra le più belle e rinomate in Calabria, ma di un vasto territorio. Venti anni dopo, su quell'area non c'è traccia della darsena che doveva garantire il turismo ricco e altolocato che qui, nella patria del celebre Festival del Peperoncino, ancora sognano. Anzi, fino a dieci giorni fa quel punto si era trasformato in una vera una discarica, a causa di un concatenarsi di eventi, di una politica subdola e di una burocrazia contorta.

 

Il nuovo sindaco Ernesto Magorno, due giorni dopo l'insediamento, aveva emesso un'ordinanza con la quale imponeva alla società incaricata di realizzare il porto, la Diamante Blu Srl, di bonificare l'area per scongiurare ogni sorta di pericolo. Ordine subito osservato. Ma non è bastato, perché ieri, intorno alle ore 14, si è sviluppato un grosso incendio da numerose tavole di legno che si trovavano adagiate al muro e coperte da un telo, che, da quanto si apprende, sarebbero servite per il possibile imminente avvio dei lavori.

Incendio doloso?

Non è chiaro come e perché quel cumulo di pezzi di legno sulla terraferma abbia preso fuoco, ma il sospetto generale è che qualcuno lo abbia alimentato di proposito. Forse in segno di protesta nei confronti dell'imprenditore cosentino Graziano Santoro, titolare della società appaltatrice, forse per dimostrare che le rassicurazioni sul porto e sulla relativa bonifica non sono da prendere in considerazione. Fatto sta che ieri pomeriggio, nel cuore di Diamante, l'aria era irrespirabile. Non solo, perché i proprietari degli esercizi commerciali e le abitazioni vicine hanno rischiato di vedere i propri sacrifici andare fumo. Fumo nero e denso, come quello sprigionato dall'incendio che non avrebbe mai dovuto divampare.