«Sono furibonda. È stato condannato a dieci anni, ora torna a casa. Ma il mio Matteo non tornerà a casa». Sara Scarpulla sfoga una rabbia che a tratti diventa disperazione. Domenico Di Grillo, marito di Rosaria Mancuso, lasciato il carcere, ottiene gli arresti domiciliari nella sua abitazione di via Valarioti, a poche decine di metri dalla stessa Sara e dal marito Francesco Vinci, sopravvissuto all’attentato del 9 aprile 2018, quando a Limbadi un’autobomba esplose uccidendo un maniera atroce il figlio Matteo.

Lo scorso 14 dicembre, a tre anni e mezzo dall’attentato, la Corte d’Assise di Catanzaro presieduta dal giudice Alessandro Bravin ha condannato all’ergastolo, quali mandanti, Rosaria Mancuso ed il genero Vito Barbara. I presunti esecutori materiali – Antonio Criniti e Filippo De Marco – saranno giudicati in un separato procedimento. La stessa Corte d’Assise ha inflitto dieci anni di reclusione, in luogo dei venti richiesti dal pm Andrea Mancuso, a Domenico Di Grillo, per il concorso nel tentato omicidio, consumato nel 2017, di Francesco Vinci, mentre alla figlia Lucia Di Grillo è stata inflitta una pena di 3 anni e 6 mesi per un pestaggio subito dai Vinci nel 2014.

L’istanza di scarcerazione a beneficio di Di Grillo è stata redatta dagli avvocati Gianfranco Giunta e Francesco Capria: «Si fonda – spiega l’avvocato Giunta – sull’assoluzione del nostro assistito per alcune imputazioni, sull’esclusione dell’aggravante mafiosa al reato per il quale è stato condannato, sul lasso temporale trascorso dai fatti per i quali è stata pronunciata sentenza di condanna e sulle sue condizioni di salute, che sono particolarmente precarie. La detenzione domiciliare – chiosa il penalista – è una misura che la Corte ha evidentemente ritenuto idonea per salvaguardare sia il diritto a cure idonee che le esigenze cautelari».

Per Sara Scarpulla e suo marito Francesco, che assistiti dall’avvocato Giuseppe De Pace si sono costituiti parte civile al processo, la scarcerazione di Di Grillo è, invece, «una sconfitta della giustizia». «È un’altra ferita profonda che ci viene inferta – dice Sara Scarpulla – dopo la tragedia che ha colpito la nostra famiglia a causa dell’arroganza mafiosa di questa famiglia. Abbiamo contestato la sentenza nella parte assolutoria e, soprattutto, nel non riconoscimento dell’aggravante mafiosa. Se quell’autobomba non è mafia, allora cos’è mafia? Oggi contestiamo con forza questa scarcerazione ed il riconoscimento del beneficio dei domiciliari che Di Grillo potrà scontare a pochi passi da noi. Io oggi mi rivolgo all’opinione pubblica: come si può avere fiducia nella giustizia in queste condizioni?».