Sentenza della Corte dei conti in sede d’appello, che però condanna il manager a pagare 150mila euro per gli investimenti effettuati. Ma anche su questo punto la difesa affila le armi e dice: dimostreremo che quelle scelte avrebbero potuto produrre utili
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La rimozione dal ruolo e la contestazione del danno. Quindi, il doppio procedimento giudiziario e contabile. Ma il “caso Fincalabra”, adesso, cambia i contorni. Luca Mannarino, ex presidente della società in House della Regione, non dovrà rimborsare l’ente con circa 1 milione e mezzo di euro ma, per il momento, restituirne il 10 per cento, e cioè 150mila. A stabilirlo una sentenza, in sede d’appello, della Corte dei conti che ha accolto parzialmente la tesi difensiva dello stesso Mannarino.
I fatti sono retrodatati. E abbastanza noti sul piano mediatico, ma così sintetizzabili: al tempo in cui Luca Mannarino era presidente di Fincalabra erano stati decisi investimenti con Banca Widiba poi “smobilizzati” dal successore. Un passaggio risalente al 2016, preceduto da un vero e proprio caso politico e cioè, dopo l’insediamento di Mario Oliverio alla guida della Regione, la rimozione di Mannarino dall’incarico grazie alla legge sullo spoil system.
La sentenza d’appello della Corte dei Conti, ora, fa chiarezza su un punto centrale su cui la difesa ha imperniato le sue tesi, e cioè: se la scelta del successore di Mannarino di smobilizzare gli investimenti con la banca Widiba fosse avvenuta in tempi differenti rispetto a quelli adottati (ed esattamente se fosse avvenuta al 31 dicembre 2016), sarebbe stato prodotto un differenziale positivo, rispetto a quello effettivo, pari a 1.547.229,23.
Una tesi accolta dalla Corte dei conti, al punto che Mannarino non può essere considerato il responsabile del danno erariale che in precedenza gli veniva contestato. Sul versante del rimborso dei 150mila euro, invece, la partita resta ancora aperta perché la difesa dell’ex presidente di Fincalabra sosterrà l’infondatezza di questo addebito per i seguenti motivi riscontrabili dagli atti prodotti: così come emerge dalla simulazione richiesta dalla Guardia di finanza ed acquisita agli atti, il rendimento dell’investimento disposto da Mannarino sarebbe stato di oltre 2 milioni al lordo delle cosiddette commissioni di uscita; e se è ipotizzabile che il rendimento ad avviso della Corte sarebbe potuto essere di più, la difesa tenderà a dimostrare che il contrario, puntando all’azzeramento anche di quel risarcimento da 150mila euro considerato «allo stato non motivato».
Pertanto, per l’ex presidente di Fincalabra le cose sembrano imboccare la strada giusta. Ma un nodo (politico) resta irrisolto. E riguarda la contestazione mossa stavolta dallo stesso Mannarino all’ex presidente della Regione per la sua rimozione, anche questa spinosa e così sintetizzabile: a seguito di partecipazione alla selezione pubblica per titoli, Mannarino viene nominato presidente del Cda di Fincalabra Spa per tre esercizi e con scadenza alla data dell’Assemblea, convocata per l’approvazione del bilancio relativa al terzo esercizio della carica. Il neo presidente della Regione attiva però la procedura di spoil system e Mannarino viene dichiarato decaduto dalla carica.
Quest’ultimo presenta quindi ricorso al Tar che, sollevata la questione di legittimità costituzionale, rimette gli atti alla Consulta e, previa sospensione del provvedimento della Regione, reintegra di fatto Mannarino nelle funzioni di presidente; decisione confermata anche dal Consiglio di Stato che rigetta l’appello presentato dalla Regione. Nonostante ciò, a novembre del 2015, Mannarino si vede recapitare una lettera a firma Oliverio con la quale lo si mette al corrente della sua rimozione dalla carica di Presidente e componente del Cda (che si sarebbe maturata solo alla fine del triennio). Una interpretazione contestata dai legali di Mannarino e causa della denuncia di Oliverio, che nel frattempo nomina un nuovo Presidente: apparterranno al successore le scelte della smobilizzazione degli investimenti per la quale veniva contestato il danno erariale a Mannarino che, per il ristoro dei danni provocati dalla sua rimozione, intende andare sino in fondo.