Non c’è una sola tragedia di Cutro. Ce ne sono tante, quotidiane, che stanno affollando il Mediterraneo di fantasmi. Molte imbarcazioni affondano nel silenzio, fino a quando il destino non decide che è giunta l’ora che qualcosa riaffiori. Rispetto alla portata di questa strage, l’Europa è silente, a tratti ostile, e tracce di umanità si intravedono nella buona volontà delle associazioni e nella dedizione di qualche servitore dello Stato.
Il naufragio del 6 febbraio, oramai famoso dopo il ritrovamento dei resti di un bambino di sei anni, è un esempio di quanto sta accadendo.

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La felpa di Batman

Indossava una felpa di Batman, forse gliel’aveva messa la mamma per tranquillizzarlo, per far sì che il supereroe lo proteggesse e gli infondesse coraggio nell'affrontare l'immenso mare sopra quel fragile gommone sul quale era salito col suo papà, nella speranza di raggiungere la Sardegna. Diciotto persone in tutto, lui era l'unico bambino. Il piccolo Anàs aveva sei anni e i capelli scuri e riccioluti.
La sua traversata, come quella di tanti altri disperati, è stata l’ennesima tragedia silenziosa. Solo il lavoro ostinato della Procura di Lamezia Terme, guidata da Salvatore Curcio, e del Commissariato, coordinato da Antonio Turi, ha permesso che si facesse luce su un naufragio che ha ucciso tutti i passeggeri dell’imbarcazione partita da Bizerte, in Tunisia, a febbraio, e affondata al largo delle coste siciliane.

L’ultimo contatto al largo delle coste siciliane

Secondo quanto emerge dal materiale raccolto su questo naufragio, il 6 febbraio qualcuno da Tunisi si è messo in contatto, alle 18:30, con uno dei 18 migranti a bordo del gommone il quale ha raccontato che si trovano al largo delle coste siciliane e che il tempo era bruttissimo. È stato l’ultimo contatto. Da quel momento in poi nessuno ha più saputo niente dei propri familiari. Purtroppo le popolazioni che migrano oggi mettono in conto la morte e sanno già cosa fare in caso di tragedie. Così i familiari dei 18 dispersi si sono messi in fila e si sono fatti fare un prelievo di sangue in modo da permettere, alle autorità consolari tunisine, di ricavare i profili genetici dei loro cari, per eventuali riconoscimenti. In un video diffuso su Facebook si vedono le famiglie mostrare le foto degli scomparsi. C’è una donna minuta che ha in una mano la foto di un uomo e nell’altra quella di un bambino su una biciclettina.

Diciotto morti e cinque corpi restituiti tra le Isole Eolie e il Golfo di Sant’Eufemia

Oggi sappiamo che il corpo di quel bambino sorridente e riccioluto è sparso in fondo al mare. Le acque ne hanno restituito solo una parte, dal bacino in giù, trovata da un pescatore, il 14 aprile scorso, a 100 metri dalle spiagge del Golfo di Sant'Eufemia, Comune di Lamezia Terme, molto lontano dal luogo in cui sarebbe dovuto arrivare. Ma non solo. Sappiamo che di quel naufragio il mare ha restituito altri cadaveri, disseminandoli in luoghi molto lontani tra loro: due corpi sono spuntati a marzo al largo delle isole Eolie, uno vicino Messina e uno vicino Capo Tindari.

Il viaggio di Anàs

Più lontano di tutti hanno viaggiato le gambette di Anàs. Due gambette che galleggiavano in acqua, nel Golfo di Sant’Eufemia, Comune di Lamezia Terme. Nelle foto dei rilievi si vede, sullo sfondo, il pontile dell'ex area industriale Sir. La Guardia Costiera di Vibo Marina, allertata da uno sconvolto pescatore, ha consegnato il mistero di quel corpicino alla Procura di Lamezia Terme.
Se oggi quel mistero è stato risolto e i poveri resti di Anàs potranno tornare a casa lo si deve alla caparbietà dell’autorità giudiziaria e di quella investigativa che non hanno mollato la presa su quel fascicolo.

Un piedino di 15 centimetri

Le ricerche sono partite da un piedino di 15 centimetri che ha fatto supporre al medico legale che la creature avesse all'incirca sei anni.
Immediate sono scattate le ricerche. Una mare magnum, perché i naufragi sono quotidiani, i disperati che ce la fanno sono davvero pochi e spesso l’affondo del natante avviene in mezzo al Mediterraneo, dove le urla e le imbarcazioni vengono inghiottite dal silenzio. Da una ricerca sul web gli investigatori hanno scoperto che c'era stato un naufragio il 10 aprile. Una madre superstite della Costa d'Avorio aveva perso i suoi tre bambini.
Ma il medico legale era stato chiaro: il corpicino trovato a Lamezia vagava in mare da almeno due mesi ed era di origine caucasica: non era sua la tragedia del 10 aprile, lui apparteneva a una sventura precedente.

Tutti i rinvenimenti del 2024

Il Commissariato di Lamezia Terme si è allora messo in contatto con la Capitaneria di Porto di Milazzo per avviare uno screening su tutti i rinvenimenti avvenuti nel 2024. Perché anche di questo si deve tenere il conto, di quante persone il grande cimitero-Mediterraneo restituisce. Saranno molto spesso tombe senza nome.

La svolta

La svolta è arrivata a fine maggio quando la Procura ha deciso di dare nuovamente la notizia del ritrovamento del cadavere di un bambino. Questa volta qualcuno si fa vivo: una donna vicina all’associazione Mem-Med, Memoria Mediterranea, un’associazione che, in questi tempi atroci, si è data, tra gli altri, anche il compito di dare voce a coloro che «hanno attraversato il Mediterraneo e hanno perso la vita in naufragi; in respingimenti in mare; in situazione di detenzione e privazione della libertà (Hotspot, Cpr..). La raccolta di queste storie vissute è realizzata insieme alla comunità familiare e amicale delle persone in movimento che supportiamo nelle richieste di verità e giustizia».

La donna, dunque, chiama gli uffici del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Lamezia Terme e fornisce ai poliziotti impegnati nelle indagini informazioni relative al naufragio di un gommone, avvenuto fra il 5 ed il 6 febbraio scorso, con a bordo 18 migranti, partiti da Bizerte (Tunisia) e diretti in Sardegna, dove non sono mai giunti.

La conferma del Dna

Gli inquirenti contattano il consolato tunisino a Napoli e, grazie ai profili genetici che avevano lasciato i familiari degli annegati, si scopre che quel pezzettino di corpo restituito dal mare aveva una madre, Nawel, 27 anni, e  apparteneva al piccolo Anàs Zouabi, sei anni, gli occhi scuri e una passione per Batman. Partito alla ricerca di un futuro migliore e ucciso, insieme al papà Souhali, dall’indifferenza dell’Europa.