«Solo dopo l’arrivo in Italia, nel 1949, seppi delle foibe e delle uccisioni di massa che tra il 1943 e il 1945 si erano consumate in quelle fosse scavate nel Carso», raccontava commosso Giovanni Carlini. Negli infernali inghiottitoi scavati nella regione comune ad Italia, Slovenia e Croazia, e in altre gole in territorio istriano, erano stati gettati migliaia di militari e civili italiani (secondo alcune fonti 5000 secondo altre 11000).  

Tra loro anche numerosi calabresi.  Mentre nelle foibe della sua Dalmazia si uccideva, Giovanni Carlini e la sua famiglia avevano conosciuto la persecuzione e la privazione di ogni libertà. Una storia a lungo taciuta.  Una persecuzione che nelle foibe ha toccato l’acme più tragico. Ascoltare Giovanni Carlini ha dimostrato come essa sia stata perpetrata anche costringendo persone a sentirsi braccate in patria. Costrette a patire stenti, a nutrire paura e terrore e fuggire dal paese di origine.

Classe 1936, Giovanni Carlini se n’è andato lo scorso dicembre, circondato dall’affetto della sua famiglia e dei nipoti, tra i quali il suo omonimo, che hanno pubblicato per il nonno pensieri di grande affetto. Ci aveva parlato anche della sua grande famiglia, della moglie Clelia, dei figli Michele e Luigi, delle nuore Aurora e Lucia che gli avevano regalato quattro splendidi nipoti: Clelia, Gianluca, Giovanni e Alessandra. Per 60 anni aveva vissuto a Reggio Calabria, città sul mare che gli ricordava la sua bellissima isola natia Lagosta. L’isola improvvisamente diventata dopo la fine della Seconda guerra mondiale una terra in cui non poter essere più italiani senza rischiare la vita. Continua a leggere su Il Reggino