VIDEO | Il conflitto nel cuore dell'Europa tra Kiev e Russia non vede contrapposti soltanto i fronti armati ma anche il sentire dei connazionali che vivono questo dramma. La comunità ucraina calabrese dà voce ai racconti di congiunti e amici in patria
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È guerra impari nel cuore dell'Europa, in Ucraina, drammatico teatro dello scontro tra i blocchi di una Guerra fredda evidentemente mai finita. Un Paese popoloso, il cui confine puntellato da otto paesi (Moldavia, Romania, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Bielorussia e Russia) lo rende strategico e conteso tra Russia ed Europa. Un microcosmo che sta deflagrando in cui si contrappongono, senza riuscire a contaminarsi e a convivere pacificamente, ideali europeisti e identità russa, mentre uno spirito indipendentista spinge l'Ucraina Orientale verso la Federazione Russa e quella Occidentale verso l'Europa.
Un popolo in guerra
«Noi desideriamo la pace e siamo certi che potremo trovarla solo in Europa». Questo è il pensiero che ricorre ascoltando la comunità ucraina arrivata in Calabria dalla zona occidentale del paese. Un pensiero che si trasforma radicalmente se a rispondere sono rappresentanti della comunità ucraina orientale che non si sentono di appartenere all'Europa della Nato e degli Stati Uniti, sentendosi invece profondamente russi.
«Guerra, paura e angoscia, sono state le parole di mia cugina che vive a Kirovograd, vicino a Krivoi Rog e Nicolaev, nell'Ucraina centrale, che ho chiamato appena sentito al telegiornale che Putin aveva attaccato la Russia. Era molto spaventata. Suo figlio - racconta una donna ucraina in Italia da vent'anni e adesso residente in Calabria - già nell'esercito e suo marito, ultra cinquantenne, è stato convocato per essere arruolato. Il governo Ucraino si prepara alla guerra, allo scontro e chiama alle armi anche i giovani. Per gli uomini è un obbligo, per le donne una scelta. In tanti, di età compresa tra i 16 e i 60 anni, imbracceranno le armi per difendersi dall'attacco militare russo, mentre volano bassi gli aerei ucraini per controllare e ancora non ci sono militari russi per le strade chiuse di una città deserta. Difficile anche procurarsi cibo e contanti, per le lunghe file nei pochi luoghi ancora aperti e accessibili. Le raccomandazioni rivolte alla cittadinanza dimostrano il massimo livello di allerta. Tutti in casa ma in caso di bombardamenti sarà necessario scendere in strada, allontanarsi da vetrine e finestre, raggiungere tunnel e bunker più vicini oppure gettarsi a terra, tapparsi orecchie e respirare con la bocca. Non sempre si sa dove andare a rifugiarsi. Intanto vengono bombardati aeroporto e ferrovie. Un clima di guerra che mi addolora perché l'Ucraina resta la mia terra di origine, anche se per cercare una vita migliore ho dovuto lasciarla», racconta ancora la donna ucraina residente in Calabria, mentre indossa una mascherina con i colori della bandiera del suo Paese adesso in guerra e il suo simbolo, uno scudo blu con un tridente giallo.
«Ho sentito i miei nonni che hanno scelto di restare a Lugansk e che, finalmente, in queste ore hanno sentito allontanarsi i colpi di mortaio e le esplosioni. Segno che l'intervento militare russo ha fatto arretrare le truppe ucraine dal Donbass e la linea del fronte, riportando un pò di pace. Mi sento più tranquilla perché adesso so che sono più protetti», così una giovane donna proveniente da Lugansk e residente in Calabria dallo scoppio della guerra nel 2014, racconta quanto i nonni, che in questi giorni sta sentendo ancora più frequentemente, le stiano riferendo da una delle repubbliche separatiste del Donbass, protagoniste di questo frangente storico drammatico.
«Sono giorni particolari in cui la mia mente è affollata da tanti pensieri. Sapevamo che Putin avrebbe condotto un'operazione militare per liberare i nostri territori dalla presenza delle truppe ucraine anche se non sapevamo quando ciò sarebbe avvenuto. Questo per noi è un nuovo inizio, un momento che attendevamo dopo otto lunghissimi anni di guerra. Noi vogliamo la pace, indipendenti oppure con la Russia, ma non con l'Ucraina, con la quale non immaginiamo alcun futuro possibile. Per me questo paese non esiste più. Nel 2014 ha causato troppo dolore e sofferenze alla mia gente, uccidendo tanti innocenti, all'indomani del referendum e della proclamazione dell'indipendenza di Lugansk e Donetsk (ndr riconosciute dalla Russia alcuni giorni fa, prima dell'intervento militare), ci ha attaccato, bombardando case e scuole, uccidendo civili. Ci ha tolto l'acqua, l'elettricità, il cibo. Le mie amiche da altre città mi raccontano che la Russia adesso sta colpendo solo gli obiettivi militari in tutta l'Ucraina, senza colpire i civili. Kiev, invece, dopo averci imposto di parlare la lingua ucraina e di dimenticare la nostra identità russa, alla nostra dichiarazione di indipendenza, nel 2014, ha reagito assalendoci duramente e indistintamente. Non si può tornare indietro da quanto visto, subito e vissuto. Siamo popoli troppo diversi, non ci comprendiamo e non vediamo le situazioni allo stesso modo. Non possiamo restare insieme», racconta ancora la giovane donna dell'Ucraina Orientale.
L'Europa della Russia e quella degli Stati Uniti
Anche se per ragioni diverse, a pensare che la Russia rivesta un ruolo importante e necessario è anche un cittadino russo, originario di Mosca e in Calabria da tanti anni.
«La Russia è in Europa eppure oggi i loro fronti sono opposti. I nuovi equilibri geopolitici stanno offuscando la storia perché l'Europa è diventata un'area a fortissima influenza statunitense contrapposta al fronte della Russia che nel Vecchio continente ha, invece, parte del suo territorio. Siamo addolorati per quanto sta accadendo in Ucraina. Sappiamo che ci sono vittime e questo è quanto non avremmo mai voluto. Non giustifico quanto sta avvenendo ma, vivendo ormai in Occidente da tanto tempo, riesco a capire da cosa la Russia voglia proteggere i territori, riesco a capire la necessità di arginare l'influenza in Europa degli Stati Uniti», sottolinea ancora il cittadino russo.
Queste testimonianze di persone emigrate anche in Italia, e pure in Calabria, che in queste ore cercano di avere notizie di familiari e amici rimasti in Ucraina, restituiscono uno scenario assai critico che in realtà riflette la complessità degli equilibri geopolitici ereditati dalla Seconda Guerra Mondiale. Equilibri che, tuttavia, in assenza di benessere e libertà diffusi in ogni Paese e non solo in alcuni, già inesorabilmente scricchiolano.
Parole e propaganda
Una guerra, adesso estesa dal Donbass, con le sue forze separatiste filorusse impegnate contro il governo ucraino, a tutta l'Ucraina del presidente Volodymyr Zelenskyj, che ha annunciato resistenza contro la Russia, preceduta, ed ancora scandita, da un'altra guerra che è quella delle narrazioni tra le due anime profondamente diverse di questo popolo, quella delle propagande diffuse dalle tante parti in causa.
Violazione della sovranità e dell'integrità territoriale del loro Paese e invasione ingiustificabile ad opera della Russia per gli ucraini occidentali, ed anche per l'Europa di Ursula Von der Leyen e per gli Stati Uniti di Joe Biden; operazione militare speciale di liberazione dalle truppe ucraine per gli orientali e il presidente russo Vladimir Putin.
Un attacco premeditato, messo punto mentre Putin sembrava negoziare, per l'Occidente; per la Russia un atto necessario per preservare la neutralità dalla Nato dell'Ucraina e con lo scopo di assicurare alla giustizia il governo ucraino macchiatosi di genocidio nel 2014 e riorganizzare l'ordine della Sicurezza europea.
Una minaccia senza precedenti per l'Europa; una strategia per ampliare il confine russo, dalla Crimea già annessa nel 2014 lungo il confine verso la Bielorussia e oltre, e rafforzare così la presenza della Federazione Russa, nel cuore di un'Europa da liberare dalla pregnante influenza della Nato e degli Stati Uniti.
Insomma almeno due narrazioni, per una vicenda di assoluto rilievo internazionale, nel cui spazio intercorrente fluttuano pensieri, tensioni e ideali di un Paese diviso, forse in modo irreversibile, oggi ancora più sfaldato, che è l'Ucraina, dove molte vite sono state già spezzate e altre ancora lo saranno, emblema della vulnerabilità di un'Europa che, prima, avrebbe dovuto e potuto fare di più.