Il vicedirettore generale della Pubblica Sicurezza a Cosenza per la presentazione del volume realizzato con funzionari di polizia, uomini dell'Arma, giornalisti investigativi
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Dai pizzini utilizzati da Bernardo Provenzano alle chat criptate di Rocco Morabito, la criminalità negli ultimi quindici anni, ha compiuto notevoli passi in avanti nell'utilizzo delle tecnologie. Contemporaneamente è cambiato anche il lavoro delle forze dell'ordine: adeguarsi ai nuovi contesti in cui operano le organizzazioni illecite, è la sfida cui sono quotidianamente chiamati gli organi dello Stato nelle loro funzioni di prevenzione e contrasto ai fenomeni delinquenziali.
Delle moderne tecniche di indagine ha parlato il vicedirettore generale della Pubblica Sicurezza Vittorio Rizzi presentando nel salone di Palazzo Arnone a Cosenza, il libro Investigare 4.0, edito da Piccin, di cui ha curato la stesura insieme alla docente di psicologia generale della Sapienza di Roma, Anna Maria Giannini. Introdotto dai saluti del Prefetto Vittoria Ciaramella, all’appuntamento coordinato dal questore Giovanna Petrocca, erano presenti tra gli altri il Procuratore Generale del Distretto di Catanzaro Giuseppe Lucantonio il procuratore capo di Cosenza Mario Spagnuolo, il presidente della Società Italiana di Intelligence, Mario Caligiuri, i vertici provinciali di carabinieri e guardia di finanza.
Dall'esperienza sul campo all'opera accademica
«Il libro raccoglie l’esperienza che ventisette tra funzionari di polizia, giornalisti investigativi e anche un collega dell’Arma dei carabinieri hanno voluto condividere – ha spiegato il Prefetto Rizzi - Quindi un’esperienza nel mondo della criminologia, delle investigazioni e nella ricerca delle tracce del reato, che diventa anche un’opera di profilo accademico. La Calabria? È una terra più sicura rispetto ad altre parti del mondo, perché soggetta, come il resto del Paese, a misure di prevenzione molto efficaci. Nonostante la presenza pervasiva della ‘ndrangheta, esiste la possibilità di intercettare una impresa mafiosa e non farla partecipare ad un appalto pubblico con lo strumento della interdizione».
Il monitoraggio delle risorse del Pnrr
In questa ottica un importante sforzo viene compiuto per evitare che le risorse del Pnrr possano andare a soddisfare gli appetiti criminali: «I rischi li vedo più all’estero» ha affermato il vicecapo della polizia che ha anche il compito di sovrintendere all’organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazioni nell’economia da parte della criminalità organizzata. «Il nostro osservatorio è diventato internazionale, affinché le esperienze italiane vissute trent’anni fa non si ripetano in altri paesi più giovani, dove il fenomeno della criminalità organizzata non è ancora così pervasivo. Le mafie sono cambiate - ha poi concluso- e pensare di approcciare alla ‘ndrangheta come si approcciava trent’anni fa significa parlare di archeologia criminale».