Escono dal tendone che li ha ospitati in questi primi giorni sul suolo europeo a piccoli gruppi ordinati. Sono arrivati da Afghanistan, Pakistan, Iran e Iraq con l’ennesimo viaggio della speranza sulla rotta turca, recuperati al largo di Roccella dalle motovedette della Guardia costiera. Dopo le prime cure e dopo le procedure di identificazione, molti di loro sono pronti a lasciare Roccella, destinazione il nord Italia e il resto dei paesi europei. In mano hanno il foglio che gli intima di lasciare i confini italiani entro 15 giorni, in tasca il nome della città che devono raggiungere per rincongiungersi con amici e parenti che quel viaggio lo avevano intrapreso prima di loro.
In giornate come queste, che seguono sbarchi e soccorsi, li si può incontrare sul lungomare della cittadina jonica mischiarsi ai tanti roccellesi che si godono due passi sul mare con un clima quasi primaverile mentre raggiungono a piedi la stazione dei treni.

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«Da dove vengo? Sono un figlio del mondo, vivo dove riesco a vivere». Alan è poco più di un ragazzo, capelli rossi e sorriso contagioso: racconta di un viaggio complicato con il mare forte che ha rischiato di capovolgere la barca almeno due volte. Sta andando a Roma: «C’è un mio amico lì, quella sarà la mia prima tappa. Ma non credo che resterò in Italia».

Famiglie con bambini, gruppi di giovanissimi, signore attempate: “i pericolosi” clandestini che arrivano dal mare tanto temuti dal Governo nazionale sfilano sorridenti per lo stradone che unisce il porto al paese. Qualcuno si fa un selfie con il sole che tramonta, qualcun altro si ferma in gelateria per un cono. La parte più pericolosa del viaggio è finita: «Abbiamo avuto paura – racconta Amil, arrivato a Roccella dall’Iraq assiema a moglie e figlia adolescente – pensavamo che la barca affondasse ma poi le cose sono migliorate e il viaggio è stato più tranquillo. Siamo stati tanti giorni in mare e alla fine non c’era più niente da mangiare. È stato difficile, ma ora è finita».

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Arya invece viene dall’Iran. Ha 19 anni, ha viaggiato da solo e ora intende andare a Milano per poi da lì raggiungere la Svizzera dove lo aspetta una delle sorelle. Ci chiama “bro”, come farebbe un qualsiasi suo coetaneo europeo, mentre risponde sui social ad amici e parenti che chiedono notizie. La storia che racconta mette i brividi. «In Iran non c’è libertà – dice seduto in una panchina appena fuori la stazione – io sono stato picchiato due volte e non mi hanno neanche spiegato perché. Ad alcuni che conoscevo – dice mentre scorre sul telefono le foto con i segni del pestaggio sul viso e sulla schiena – è andata peggio e sono in carcere. Non potevo più vivere lì, ma per i miei è diverso, loro non credo che riusciranno a trovare mai la forza per andarsene».

La piccola stazione di Roccella, come tante sulla fascia jonica, non ha una biglietteria, solo una macchinetta automatica davanti a cui, un po’ spaesati, i migranti si fermano a gruppi. Non c’è nessuno a cui chiedere, non tutti parlano inglese e chi riesce a capirci qualcosa si ferma per aiutare gli altri con i biglietti in attesa dei treni. Un attesa che durerà almeno fino a sabato, visto che l’ultimo convoglio diretto verso Catanzaro sulla derelitta linea jonica è già passato e per il prossimo toccherà aspettare le 5.30 del mattino successivo. Qualcuno tra loro si sistemerà nelle pensioni del paese per trascorrere la notte, molti altri aspetteranno l’alba “sistemati” sulle banchine della stazione: «ma non importa, il peggio è passato».

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