Un criminale, sì, ma non un mafioso. Salvatore Buzzi, secondo la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione il 22 ottobre 2019, sarebbe stato, come Massimo Carminati, il vertice di un’associazione a delinquere (soltanto) semplice, in grado di pilotare affari e appalti.

Buzzi e Carminati, secondo l’impianto accusatorio, erano le anime nere del «mondo di mezzo» scoperto da Mafia Capitale. Arrestato il 2 dicembre del 2014, per Buzzi - venuta meno l’associazione mafiosa - sono poi crollate anche le aggravanti.

Insomma, niente mafia. Questa è la definitiva realtà processuale. La verità storica, parallelamente a quella processuale, racconta invece di continui ed intensi rapporti con figure orbitanti in seno al clan Mancuso di Limbadi.

In particolare con Giovanni Campennì, nipote diretto del superdetenuto Giuseppe Mancuso alias “Peppe ’Mbrogghjia”, considerato il più sanguinario tra i boss del locale ‘ndranghetista di Limbadi e Nicotera. Inizialmente coinvolto nell’inchiesta Mafia Capitale, Campennì ne uscì indenne: la sua posizione fu stralciata e poi archiviata.

 

Racconta, la verità storica, di un particolare che è davvero suggestivo sul piano investigativo e che viene acquisito nel contesto della colossale inchiesta Rinascita Scott, la quale attende l’avvio dell’udienza preliminare, il prossimo 11 settembre, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, a Roma. Ciò avviene grazie ad una nota che il Ros di Catanzaro, il 25 settembre del 2015, pertanto successivamente al maxiblitz dei colleghi romani al culmine dell’inchiesta capitolina, inoltra all’attenzione del pm Camillo Falvo, l’attuale procuratore capo di Vibo Valentia che diede impulso al maxifascicolo poi completato con i colleghi Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso, con il coordinamento del procuratore capo Nicola Gratteri.

Raccontano della presenza del re delle coop romane, Buzzi appunto, proprio a Limbadi, beccato il 24 novembre del 2012,dai carabinieri del Ros di Catanzaro in collegamento con i colleghi del secondo reparto investigativo del Ros centrale. E i militari, quel 24 novembre, l’hanno trascorso a far da ombra a Salvatore Buzzi, senza che si accorgesse di alcunché. Lo agganciavano alle 10:10 all’uscita dell’aeroporto di Lamezia Terme, in compagnia di una donna e di una bambina. Qui lo raggiungeva un uomo, alla guida dell’auto intestata alla moglie di Giovanni Campennì. La vettura passava da Filandari, giungeva alle 12:37 a Nicotera Marina, si fermava alle 12:50 a Limbadi, in via Giovanni Falcone, dove Salvatore Buzzi scende.

Ma che ci faceva l’uomo di Mafia Capitale a Limbadi? Un viaggio di relax o di affari? Il servizio del Ros ne documentava la presenza, difficile stabilire lo scopo. «Nel corso della presente indagine in particolare – scrivono però i carabinieri del Ros di Catanzaro – è emerso come proprio Campennì Giovanni tra i mesi di aprile e maggio del 2014, abbia intrattenuto una serie di conversazioni con Redi Agostino (dentista di fiducia di Mancuso Luigi e altro imputato eccellente del maxiprocesso Rinascita Scott) dalle quali si evince un forte interessamento, da parte di entrambi, di individuare una struttura in Limbadi, da adibire a centro di accoglienza per immigrati».

Il Ros ha documentato, peraltro, anche i dialoghi (siamo tra aprile e maggio 2014, quindi un anno e mezzo dopo il blitz di Buzzi a Limbadi) tra lo stesso medico del superboss, e suor Vittoria Imineo, rappresentante legale di Villa Cafaro, che gestisce la casa di riposo Madre Teresa Napoli e le case alloggio per anziani San Francesco d’Assisi e Santa Chiara da Assisi. Per completezza di cronaca, suor Vittoria è estranea ad ogni inchiesta giudiziaria e, grazie alle strutture che gestisce, svolge un’azione meritoria a beneficio degli ultimi.

Il dottor Redi, intercettato in seguito, spiegava quale fosse il progetto ed il ruolo che avrebbero avuto Buzzi e suor Vittoria, quest’ultima ignara di chi fossero i suoi interlocutori. «Dovrebbe venire praticamente - diceva il dottor Redi - un imprenditore da Roma, è il presidente di una struttura… Un progetto grossissimo… Lui per tutta Italia ha delle società… Delle cooperative… Se tutto va bene portare, fare della struttura delle suore di Limbadi un centro di accoglienza per richiedenti asilo».

Il dentista accusato di mafia spiegava che l’interesse era imprenditoriale e l’obiettivo, in pratica, era speculare sulle risorse stanziate dal Ministero dell’Interno per la gestione dei migranti. Contestualmente sarebbe stato possibile riqualificare un immobile di fatto inutilizzato: «Il governo italiano attraverso il Ministero dell’Interno – diceva – ti dà 33 euro a persona e tu gli devi fornire da mangiare, naturalmente, dignitosamente, vestire con un determinato vestiario, farli dormire… E quindi sarebbe una struttura visto come la struttura a Limbadi ormai è praticamente inutilizzata».

Anche per Agostino Redi il gancio con Salvatore Buzzi era Giovanni Campennì (che non è coinvolto nell'indagine Rinascita-Scott) e da lì iniziava, per il medico da tempo monitorato per le sue assidue frequentazioni nella casa di Luigi Mancuso, una serie di contatti per verificare il reale interessamento del re delle coop romane affinché investisse a Limbadi. Pochi mesi dopo, però, sarebbe scattata l’operazione Mafia Capitale ed il re delle coop, ‘ndrangheta o meno, si sarebbe svegliato nudo.