«Eliminate i talebani dall’Afghanistan, liberate l’Afghanistan dai talebani». Lo ripete due volte il suo appello, Kamal (nome di fantasia), con la viva speranza che Stati Uniti d’America e Unione Europea, a cui si rivolge, lo accolgano. Manca dal suo Paese dal 2012, da quando cioè, ha deciso di scappare, andare via, abbandonando tutto e tutti: quel suo lavoro al fianco dell’allora governo gli aveva causato problemi con i talebani e non sarebbe più stato sicuro per lui restare. Ha così raggiunto la Turchia e da lì è salito su un barcone. Cinque giorni in mare, poi ha toccato nuovamente terra, in Italia, dove ha trovato accoglienza perché perseguitato politico.

L’appello di Kamal

Oggi, ha 32 anni e vive in Germania, ma torna spesso a Crotone, per sbrigare questioni burocratiche, per lo più. E infatti, lo incontriamo allo Sportello migranti della Caritas, mentre l’operatore Salvatore Iozzo lo sta aiutando a richiedere un documento. Non parla bene italiano, si esprime meglio in inglese. Ed è un fiume in piena.

«Fa molto male – ci racconta - vedere le immagini che provengono oggi dall’Afghanistan, sapere che la mia famiglia è lì, che non può uscire e ha persino difficoltà a trovare il cibo. Fa male sapere che i talebani sono in giro per cercare tutti coloro che hanno collaborato con l’America e col governo. Mediatori, interpreti: cercano chiunque. Li trovano e li uccidono. È atroce. Il popolo afghano non vuole i talebani sul proprio territorio».

In Afghanistan ha lasciato la famiglia, che per fortuna riesce ancora a sentire: «Sono in contatto con mia madre e mia moglie. Mi dicono che non possono uscire, hanno molta paura. I miei vicini di casa, che avevano collaborato col governo, sono stati tutti uccisi. I talebani hanno fatto irruzione nella loro abitazione e li hanno uccisi tutti. Anche loro si sentono in grande pericolo. Non vedo la mia famiglia da 9 anni. È struggente per un uomo non riuscire a vedere i propri genitori, la propria madre, la propria moglie, per motivi politici». Infine, l’accorato appello a Europa e Stati Uniti (che dopo 20 anni hanno lasciato il Paese) affinché contrastino i talebani, ma anche al vicino Pakistan: «Evitate di aiutare i talebani e smettetela di sparare sui civili afghani, vi prego».

Il supporto della Caritas

Come Kamal, allo Sportello migranti della Caritas si rivolgono tanti cittadini stranieri: «Ci occupiamo di dare aiuto, supporto, sussidio agli stranieri presenti sul territorio. Offriamo diversi servizi, dall’ambulatorio medico al dormitorio per i senzatetto, ma offriamo anche orientamento verso i servizi ai quali hanno diritto, con supporto legale» spiega Iozzo.

Nelle ultime settimane, la richiesta degli afghani che si presentano allo sportello è una sola: «Ci chiedono di poter avere una pratica veloce per ottenere il ricongiungimento familiare perché ovviamente sono molto preoccupati per i loro cari rimasti in Afghanistan, che si trovano in una situazione di completa insicurezza».

Ma gli operatori della Caritas non svolgono solo un freddo ruolo burocratico: «Queste persone che vengono da noi hanno bisogno di rassicurazioni e, spesso, anche una semplice parola di conforto può cambiare il loro stato d’animo. È molto importante che qui non si faccia un ascolto a livello meccanico, l’ascolto è umano». Perché, come recita il murales che arreda gli uffici del centro, “lo stranierio è come un fratello che non hai mai incontrato”.