Querce, pini larici, faggi: un patrimonio boschivo antichissimo, proprio sulla via che porta alla parte più ancestrale della montagna a monte del santuario di Polsi, tenuto in ostaggio per due giorni dalle fiamme. C’è voluta la pioggia delle ultime ore per far calare definitivamente il sipario sull’ennesimo incendio che ha colpito duramente il cuore dell’Aspromonte. Una pioggia provvidenziale, che ha spento gli ultimi focolai e ha risparmiato alcune delle foreste più preziose – le fiamme non erano troppo distanti dal luogo in cui si trova “Demetra”, considerata la quercia più longeva del pianeta – custodite all’interno dei confini del Parco nazionale. Un fuoco che ha preso piede quando il sole era già calato da ore e che non è difficile immaginare avere origine dolosa. Anche alla luce del fatto che, più o meno nello stesso punto, le fiamme hanno aggredito i boschi, con puntualità svizzera, ogni anno a partire dal 2019 in avanti.

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L’incendio

Sono state le squadre della protezione civile ad accorgersi delle fiamme e ad intervenire per primi nell’immediatezza dell’evento. L’intervento, che ha visto impegnato inizialmente anche diverse squadre di Calabria Verde, era riuscito a contenere il rogo e, intorno alle 2 del mattino tra sabato e domenica, le fiamme erano state domate. Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo però che poche ore più tardi (intorno alle 5 del mattino, quando il sole doveva ancora sorgere) le fiamme, probabilmente  appiccate ancore dalla mano dell’uomo, hanno ripreso vigore non troppo distante  dal rogo iniziale. E poi, poche ore dopo, ancora un altro focolaio, non troppo distante dai primi due. Uno stillicidio di distruzione e devastazione sparato in faccia alla “tolleranza zero” sbandierata dalla Regione appena una manciata di giorni fa. Aiutato dal caldo torrido e dal vento di scirocco, l’incendio ha attaccato i boschi risalendo il costone della montagna che sovrasta il santuario mariano fino ad oltre mille metri di altitudine.

Un incendio prevalentemente “radente” ma che ha attaccato anche le chiome degli alberi e che ha portato all’intervento di tre mezzi aerei che hanno operato sul posto fino al calare del sole, quando il fumo ancora era ben visibile anche da grande distanza. È stata solo la pioggia, arrivata in nottata, a spegnere definitivamente le ultime fiamme che nel loro cammino, nonostante sul posto avessero operato per ore e con coraggio diverse squadre di vigili del fuoco e di Calabria Verde, hanno danneggiato pesantemente la “via dei riggitani”, un percorso naturalistico che dal Polsi risale il costone della montagna. Sarà la ricognizione prevista per domani a stabilire l’entità dell’ennesimo disastro nel cuore più antico d’Aspromonte.

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Le reazioni

«Gli aerei hanno smesso di volare prima del tramonto – scrive sui suoi social lo scrittore africoto Gioacchino Criaco – querce, faggi e pini a migliaia sono andati a popolare i boschi di un’altra dimensione, con la speranza di trovare un’umanità migliore, almeno di non ritrovare i calabresi e chi li dirige». E sono proprio le parole del narratore di “anime nere” a riportare sotto i riflettori la natura dolosa degli incendi che, ciclicamente, attaccano le zone più impervie della Montagna. E mentre sui giornali rimbalzano i toni trionfalistici degli uffici regionali sull’efficacia dei droni come contrasto agli incendi boschivi, chi il parco lo vive tutti i giorni, ha idee diverse sulle strategie da intraprendere. A partire da un controllo più serrato del territorio, visto che i droni molto difficilmente riescono ad individuare roghi e piromani “coperti” dalle fittissime meraviglie boschive d’Aspromonte.

La pensano così dagli uffici dello stesso Parco che da tempo (e statistiche alla mano) invocano l’allestimento di un posto fisso di sorveglianza in grado di tenere sotto controllo l’unica strada che porta fino al santuario di Polsi, territorio da anni in balia degli attacchi criminali dei piromani. Sulla stessa linea d’onda anche il corpo delle guide del Parco nazionale che, avanzando le medesime perplessità sull’efficacia dei droni – quello dell’ultimo week end è il terzo devastante incendio, dopo quelli di Bova e di Bagaladi, che si è sviluppato all’interno dell’area protetta nell’estate 2024 – rilanciano l’idea di un presidio fisso in grado di scoraggiare chi, con puntualità, colpisce sempre nello stesso punto.