Nella città di Pitagora le contraddizioni di un promontorio violato così sacro come quello Lacinio, emergono anche politicamente. «In questo luogo si sono consumate solo una serie di carriere politiche, alcune di successo, altre no o non ancora» il commento del presidente della Commissione Cultura al Comune di Crotone Fabrizio Meo che si presentò proprio con il sindaco Vincenzo Voce alle scorse elezioni è tranchant.

«È importante stanare le ragioni di un abbandono del promontorio Lacinio, quanto quelle di chi ha permesso ad Eni di fare solo i propri interessi, per questa ragione sono per l’ennesima volta al fianco di chi, tra i cittadini, prende coscienza e si ribella». Meo fa, quasi involontariamente, una sintesi di quello che è già più volte accaduto a Crotone attorno ai rapporti con il colosso di Stato e che si ripete oggi nel parco archeologico di Capo Colonna dove sono spuntati nuovi mezzi dell’Eni su cui si è alzato il no e l’allarme delle associazioni che si sono date appuntamento per un sit in che non è poi partecipatissimo. Italia Nostra tra i promotori è in ritardo anche perché nel pomeriggio c’è la manifestazione per commemorare le vittime dell’alluvione del ’92, anche quella ferita ancora aperta, c’è l’Arci e c’è Legambiente ed altri pochi attivisti tra cui l’associazione Paideia.

«È importante esserci proprio per far comprendere che questa città non si fa passare tutto sotto il naso, e manifesti l’indignazione per l’ennesima violazione di uno dei luoghi sacri da sempre», sostiene Goffredo Cerrelli attivista di Legambiente. Mentre Filippo Sestito dell’Arci Crotone va ancora più dritto: «appena i cittadini hanno fatto notare i lavori a questo pozzo con la presenza di questi mezzi di queste dimensioni» ha riportato il dirigente nazionale della storica organizzazione associativa «il sindaco Voce si è affrettato, lui e non Eni direttamente, a sostenere che si tratta solo di manutenzione, noi non ci crediamo». Sestito fa dunque appello a proseguire una mobilitazione più consapevole e proattiva «non si può più ritenere accettabile la costruzione di ulteriori cantieri in un’area già martoriata dal punto di vista paesaggistico e naturalistico come quella crotonese e da Capocolonna deve poter partire un’azione di richiesta di documenti e competenze che impediscano, qualora ve ne fosse ancora legittimità, il continuo depauperamento del patrimonio comune, che, come in questo caso, non è solo di Crotone e della Calabria, ma del mondo intero».

Così si è unito quell’arcipelago di sinistra (almeno sulla carta) che, fino ad oggi non si era mai visto assieme perché, come annunciato, è arrivato il PD crotonese al completo, ma anche le rappresentanze riconosciute, al momento, dei cinquestelle attorno alla ex deputata Elisabetta Barbuto. «Sono più di vent’anni, e ne ho 38, che assistiamo, ciclicamente, alle stesse querelle -rammenta Anna Giulia Caiazza, segretario del PD Crotone - Eni presenta derrick e continua a sfruttare il territorio e le rappresentanze istituzionali minimizzano senza dettagliare il perché sia possibile uno scempio di queste proporzioni» ed aggiunge un parallelo storico «così come fu Pasquale Senatore, populista ante litteram, che rinnovò queste concessioni ad Eni, oggi Vincenzo Voce parla addirittura per conto di Eni quando in campagna elettorale si ergeva ad unico autorevole interlocutore contro, parole sue, tutti quelli che si erano accordati con il colosso a sei zampe».

Ma c’è chi va oltre come l’ex deputata grillina, l’avvocato ed insegnante Elisabetta Barbuto quando le si rammenta che l’incredibile exploit elettorale di Crotone, che era e rimane il feudo più prolifico degli ora seguaci di Conte, passò attraverso le battaglie che si accreditò la collega senatrice Corrado proprio per le proteste per il cemento a Capocolonna: «io, quanto Margherita Corrado, abbiamo sostenuto la maggioranza, non ne abbiamo fatto parte, magari avremmo fatto meglio, non si può sapere» sterzando poi sul problema dello sfruttamento energetico del territorio «oggi siamo qua a dire no anche al GNL ed all’eolico off shore, su cui questa amministrazione fa finta di non potere nulla».

Così se la sinistra ha raccolto comunque adesioni non del tutto scontate, a far discutere non è solo l’atteggiamento del sindaco che a nome del colosso di stato ha rassicurato che si tratti solo di manutenzioni, ma il mancato rendiconto chiesto per gli oltre 7 milioni e mezzo che la direzione del Parco ha ereditato da Antica Kroton, che ancora non si capisce come verranno spesi vista la situazione del luogo sacro da sempre colmo di proprietà private, incuria e beni inestimabili mai valorizzati.