Una lunga lettera per lanciare un grido d’aiuto. È quella che ha scritto Vito Vona per raccontare la sua terribile storia e lanciare un accorato appello alle istituzioni «prima che accada l’irreparabile». Il 41enne vive a Crotone e da cinque anni la sua vita è stata stravolta dopo un episodio di presunta malasanità di cui è stato suo malgrado protagonista: «Dal novembre 2016 mi sono visto precipitare in un vero e proprio incubo senza via di uscita, a causa di un intervento chirurgico che ho subito per una diagnosi (poi non confermata) di volvolo gastrico. Mai nella mia vita, nemmeno nei peggiori incubi, avrei potuto immaginare che quell’intervento avrebbe letteralmente devastato la mia esistenza. Innumerevoli volte, nelle tante notti insonni che da allora sono costanti nella mia vita, ho ripercorso i passi che mi hanno condotto in quell’ospedale e ho desiderato poter tornare indietro, ma questo purtroppo non è possibile» scrive l’uomo nella lettera.

L’inizio del calvario

Vona ripercorre la sua storia: «Nel novembre 2016, a causa di frequenti dolori addominali, fui ricoverato all’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone e, per decisione del primario, fui sottoposto a un intervento di gastrectomia parziale e colecistectomia. Purtroppo ben presto fu chiaro che questo intervento non aveva risolto i miei problemi, i dolori continuavano. Mi rivolsi di nuovo al chirurgo per fare dei controlli, e mi sentii dire che in realtà l’intervento era stato eseguito senza una vera certezza da parte sua che fosse la soluzione migliore per i miei problemi. Ulteriori esami rivelarono che il mio stomaco era andato in gastroparesi a seguito del primo intervento. Interpellai un altro chirurgo di una clinica privata di Crotone che mi propose l’asportazione totale dello stomaco come soluzione più indicata. Acconsentii e tornai in sala operatoria, ma quando aprirono il mio addome trovarono un groviglio di intestini, così il chirurgo decise di sistemare questo problema rinunciando a effettuare la gastrectomia. Ma anche dopo questo intervento i forti dolori ed episodi di vomito continuarono. Tornai di nuovo alla clinica, ma scoprii che per mancanza di fondi era stata chiusa, così, forse perché ancora non ero consapevole della realtà dei fatti, ricontattai il primo chirurgo. Il 24 agosto 2017 entrai per la terza volta in sala operatoria per un nuovo intervento (gastrectomia subtotale). Durante l’operazione riportai anche la rottura accidentale del diaframma. Dopo questo terzo intervento, le mie condizioni peggiorarono ancora e fui costretto a ricorrere alla nutrizione parenterale e alla terapia del dolore».

La perizia di un medico legale

«A questo punto decisi di rivolgermi a un avvocato, fu fatta una perizia da un medico legale dalla quale emerse che il primo intervento, dal quale sono poi derivati tutti gli altri, non avrebbe dovuto essere eseguito. Intanto continuavo ad affrontare grossi problemi ogni giorno e capivo che non potevo andare avanti così. Contattai un centro di eccellenza di Verona, il cui primario rimase sconvolto nel visionare le cartelle cliniche che gli avevo portato. Mi spiegò che si poteva tentare di operare ancora per cercare di ridurre almeno in minima parte i danni che mi erano stati causati dai precedenti interventi, ma l’operazione poteva comportare grossi rischi. Tornai a Verona nel luglio 2018 ma la sera prima dell’intervento ebbi una crisi di panico, firmai e me ne andai. Trascorse circa un anno fatto di malesseri, dolori e problemi pesanti: continuavo a perdere peso, mi alimentavo prevalentemente per via parenterale, assumevo ogni giorno morfina per i forti dolori, la notte non dormivo. Alla fine decisi di raccogliere tutto il mio coraggio. Il 27 giugno 2019 entrai di nuovo in sala operatoria a Verona per il mio quarto intervento, che mise a dura prova i chirurghi, costretti a recidere lunghi tratti di intestino e ad asportare la milza, compromessa dai precedenti interventi. Ci volle qualche giorno prima che fossi dichiarato fuori pericolo».

Una esistenza stravolta

«Dopo questo intervento, le mie condizioni sono migliorate ma solo in parte. La mia vita è fatta di insonnia, nutrizione parenterale, morfina per i dolori, frequenti infezioni del picc con febbri altissime, problemi di malassorbimento, sarcopenia, osteoporosi avanzata, sindrome di dumping, stanchezza cronica, profilassi vaccinali conseguenti alla splenectomia. Di recente si sono scoperti anche nuovi problemi, in parte causati dalle aderenze, e si parla di un quinto intervento che non so proprio come farò ad affrontare. Quante serate ho trascorso nel triage del pronto soccorso, mentre i miei amici vivevano momenti spensierati in compagnia... Per me non esiste più vita sociale ma non solo, nemmeno quando sono a casa so cosa posso aspettarmi anche dopo un solo boccone. Questa tragedia mi ha devastato nel fisico, trasformandomi da giovane uomo pieno di vigore a invalido al 100%. Pesavo 108 kg e sono arrivato a pesarne 60. Sono condannato a un ergastolo senza riduzioni di pena».

La perdita del lavoro

«A seguito del mio stato attuale sono stato licenziato, ero netturbino ma l’azienda per cui lavoravo non può ricollocarmi in altre mansioni perché sono a rischio di infezioni, e difficilmente potrò trovare nelle mie condizioni un nuovo posto di lavoro. In questi anni la mia vita è stata del tutto distrutta e non solo nel fisico, ma anche a livello morale, sociale, economico e le conseguenze le sta pagando anche la mia famiglia. Sono caduto in una fortissima depressione da stress post traumatico, solo grazie alla fede in Dio sto riuscendo a non vacillare in una situazione che porterebbe chiunque a compiere gesti sconsiderati. I frequenti viaggi da Crotone a Verona che devo compiere per essere seguito in maniera appropriata sono costosi e sono ormai prossimo al crollo economico. Le prestazioni di sostegno al reddito sono insufficienti e vanno sempre a diminuire. L’ex primario di chirurgia di Crotone è stato citato in giudizio assieme ad altri due medici ed è iniziato il processo per lesioni colpose, ma i tempi della giustizia sono lenti e molto lunghi. Chi mi tutela in una situazione così difficile? Il 19 luglio ci sarà la prossima udienza del processo e non potrò presenziare perché sarò a Verona per visite urgenti. Spesso mi chiedo se vedrò davvero la fine di questo processo, date le mie condizioni precarie di salute».

L’appello alle istituzioni

«Mi rivolgo alle istituzioni per non essere lasciato solo in questo incubo, ma lo faccio soprattutto per mia moglie, che si è dovuta fare carico di tutto, dal lavoro alla casa, dalla famiglia alla mia assistenza continua, dimostrando una forza straordinaria e per mio figlio, ancora piccolo. Loro sono la mia ragione di vita e non meritano di vivere in questo baratro terribile in cui siamo precipitati, solo perché ho riposto la mia fiducia nelle mani sbagliate. Spesso mi sono chiesto: che tutele immediate garantisce lo Stato per le persone come me che perdono tutto senza averne colpa? Le istituzioni possono fare qualcosa per aiutarmi/ci in breve tempo, prima che accada l’irreparabile? Perché un aiuto serve subito e non con i tempi biblici della giustizia. Io mi tormento ogni mattina quando le persone escono per andare a lavorare, come anche io ho sempre fatto. Vorrei tornare a casa con il sudore della fatica addosso, stanco ma sereno. Invece non mi è più possibile ed è una condizione che non ho voluto io. Ho dovuto lavorare su me stesso molto a lungo per trasformare la rabbia che avevo dentro di me in capacità di restare calmo e di rivolgere il mio sguardo verso Dio, unica mia luce in questo tunnel. Grido la mia disperazione in silenzio, mettendo su un foglio questo mio sfogo, con la speranza che qualcuno capisca che ho bisogno di essere aiutato, anche se mi costa molto dirlo. Sul tavolo operatorio ho perso tanti pezzi di me stesso, ma non la dignità e l’onestà che rimangono valori in cui non smetterò mai di credere».