La Cittadella ha chiesto al Governo il software messo a punto da Poste ed Eni per gestire le vaccinazioni e trasmettere i dati che ora vengono ancora assemblati a mano. Ma una piattaforma di questo tipo era già stata acquistata nel 2016 dalla Puglia, dove ancora oggi funziona senza problemi (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Il Piano Covid dovevo farlo io? Non lo sapevo…». L’immagine dell’ex commissario alla sanità calabrese, Saverio Cotticelli, che seppellisce la sua onorata carriera sotto il peso insostenibile di una banale domanda, è ormai iconica. Eppure, dal 7 novembre scorso, quando a Titolo V (Rai Tre) andò in onda quell’incredibile intervista, poche cose sono cambiate davvero. Se allora c’era da chiedersi che fine avesse fatto il Piano Covid, oggi è il Piano vaccini a preoccupare.
Avanti piano
La campagna di vaccinazioni è iniziata il 27 dicembre scorso, nell’ambito di quel Vax day europeo che aveva un sapore soprattutto simbolico, con la consegna da parte dei militari dell’esercito di appena 280 dosi, così quante ne spettavano alla Calabria per poter dire “ci siamo anche noi”.
Da allora ne sono arrivate altre 25.350, di cui 8.280 utilizzate per altrettante immunizzazioni, pari al 32,3 per cento di vaccini fatti su quelli realmente disponibili. Una cifra bassa, che pone la Calabria al terzultimo posto in Italia, seguita solo da Lombardia (che però ha effettuato 46.257 vaccinazioni su 153.720 dose consegnate, pari al 30,1 per cento) e Provincia Autonoma di Bolzano (30 per cento).
Se in Lombardia i ritardi accumulati sono probabilmente costati il posto in giunta all’assessore al Walfare Giulio Gallera, sostituito da Letizia Moratti, in Calabria sulla questione si glissa e il presidente facente funzioni, Nino Spirlì, bolla come «non corrispondente al vero» la lentezza con cui prosegue la campagna.
Ma i numeri, per definizione, sfuggono alle opinioni. E il 30 per cento di dosi utilizzate è molto meno del 75,2 per cento registrato in Campania o del 71,8 per cento in Veneto, rispettivamente prima e seconda regione in classifica.
Carta, penna e calamaio
Se fino ad oggi i ritardi potevano comunque essere considerati “normali” vista la coincidenza dell’inizio della campagna di vaccinazione con le festività natalizie, adesso si comincia a fare sul serio. Il problema maggiore, però, viene dalla tenuta dell’anagrafica vaccinale.
Al momento, in Calabria si procede registrando manualmente chi si deve vaccinare, quando lo deve fare e quando l’ha fatto. I dati, scritti su fogli di carta, vengono poi assemblati in un foglio elettronico Word o Excel e mandati via email al ministero. Una procedura incredibile in un’epoca, come quella attuale, che vive nell’imminenza di una singolarità tecnologica, probabilmente l’Intelligenza artificiale almeno pari a quella umana, che cambierà definitivamente il volto dell’umanità. Così, mentre altrove già si sperimentano computer quantistici, da queste parti siamo ancora a carta, penna e calamaio.
Anagrafe vaccinale, chi l'ha vista?
Un problema enorme per la corretta gestione della campagna di vaccinazione anticovid, basti pensare alle difficoltà che sorgeranno tra pochi giorni quando le vaccinazioni non verranno più fatte “ad invito” (quello rivolto in questa fase iniziale alle poche centinaia di medici e operatori sanitari più esposti al contagio), ma dovranno basarsi su prenotazioni presumibilmente online. Oltre a registrare, archiviare e tracciare i nominativi delle persone immunizzate, bisognerà gestire correttamente le scorte di magazzino, settore particolarmente delicato in considerazione di una logistica estremamente complessa che, com’è noto, impone la conservazione a meno 80 gradi del farmaco Pfizer BioNTech, quello attualmente usato.
Roma ti dà una mano
Per venire incontro alle esigenze delle Regioni che non dispongono di un software in grado di gestire l’anagrafica vaccinale, il commissario nazionale per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha incaricato Poste Italiane ed Eni di realizzare una piattaforma ad hoc per le prenotazioni, la somministrazione, i richiami (e già, c’è pure questo problema da mettere nel conto) e la trasmissione dei dati così raccolti all’anagrafe centrale del ministero della Salute. Tra le sei Regioni che, secondo Wired, hanno chiesto l’utilizzo di questo software c’è, manco a dirlo, la Calabria.
Ma il software la Calabria ce l'ha
Peccato però che la Calabria un software per l’anagrafica vaccinale già ce l’abbia, ma, a quanto pare, non funziona per il Covid, se la Cittadella è stata costretta a rivolgersi a Roma con il cappello in mano, nonostante il Governo abbia raccomandato alle Regioni di utilizzare le proprie piattaforme informative e richiedere il sistema Poste-Eni solo in caso di incolmabili lacune informatiche.
Ecco Giava
Il software “calabrese” si chiama Giava e fu acquistato in pompa magna quattro anni fa dalla regione Puglia che lo concesse in regime di “riuso”. Era il 18 ottobre 2016, quando, nella Sala Turchese della Cittadella regionale, venne presentata l’anagrafe vaccinale informatizzata della Regione Calabria.
«Il software gestionale, denominato Giava – si legge in un vecchio comunicato stampa - è stato creato per supportare l'operatore dell'ambulatorio vaccinale nelle fasi della sua attività. Oltre alle funzioni di archiviazione dell'anagrafe vaccinale, il software permette di automatizzare numerose operazioni ripetitive (carico e scarico dei vaccini dal magazzino, compilazione certificati, invio lettere-invito, registrazione nuove vaccinazioni con prodotti combinati, ecc.) con un conseguente notevole risparmio di tempo e di risorse».
I costi
Il costo iniziale dell’operazione, almeno secondo quanto riporta l’offerta di allora della Regione Puglia che concesse l’uso del software, fu di 130mila euro. Spesa a cui deve essere aggiunto un costo di manutenzione “correttiva” di altri 20mila euro all’anno. Insomma, si viaggia oltre i 200mila euro. Non sarà tantissimo per i parametri dello spreco regionale, ma non è certo il “niente” che giustificherebbe la richiesta del nuovo gestionale firmato Poste-Eni.
In Puglia funziona alla grande, ma qui...
Tanto più che la piattaforma Giava, in Puglia (che vanta un confortante 61,4 per cento di vaccinazioni già effettuate) funziona alla grande, come dimostra il dettagliato sito di riferimento.
In Calabria, invece, lo stesso software è stato inglobato nel mastodontico quanto inefficiente Sistema informativo sanitario regionale (Sec-Sisr). Un bestione dai piedi di argilla che in 7 anni è costato oltre 35 milioni di euro, ma ancora non è a regime e spesso costringe Asp e ospedali a pagare di tasca propria software gestionali “privati”, oltre che pregiudicare tutto il sistema sanitario calabrese per l’impossibilità di aggiornare in tempo reale i dati su spese, forniture, costi, personale, posti letto e prestazioni ospedaliere.
Se n’è accorto anche il tavolo Adduce, l’organismo interministeriale che vigila sul piano di rientro dal debito (200 milioni di euro), e lo scorso ottobre ha sollecitato nuovamente al commissario straordinario, chiunque esso sia, una dettagliata relazione sullo stato dell’arte.
Ricapitolando, la Calabria si appresta a entrare nel vivo della campagna vaccinale anti-Covid senza strumenti adeguati e senza un “piano”, con il rischio che appena salirà il numero di persone da immunizzare il caos prenda il sopravvento su qualunque buona intenzione. C’è solo da sperare che nessuno, dopo Cotticelli, sia ancora costretto a dire: «Lo dovevo fare io? Non lo sapevo…».
degirolamo@lactv.it