«In alcuni casi la negativizzazione del paziente è avvenuta tra i sei e i dieci giorni dall'inizio della terapia». Sono questi i primi risultati conseguiti all'esito dell'applicazione del trattamento degli anticorpi monoloclonali. Una terapia ancora in fase di sperimentazione ma che l'Aifa ha autorizzato per un range molto circoscritto di pazienti affetti da Covid 19. Da circa una decina di giorni i trattamenti sono iniziati anche all'azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro. 

La selezione

«Quello di stamattina è il decimo paziente trattato con la terapia monoclonale» spiega il primario del reparto Covid afferente alla Medicina Generale, Carmelo Pintaudi. Questa mattina, infatti, un uomo di 74 anni è giunto nell'area covid scortato da un'ambulanza della Croce Rossa e da un medico dell'Usca dell'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro. «Il numero dei pazienti non è altissimo - spiega ancora il primario - perchè devono essere selezionati e devono rispondere a criteri molto specifici. Solo pazienti in isolamento domiciliare, che abbiano avuto una diagnosi di positività da pochi giorni e comunque non superiore a dieci, con sintomi lievi o moderati e con comorbilità che potrebbero evolvere verso una forma grave e, quindi, ospedalizzati».

Ridurre l'ospedalizzazione

È questo il principale vantaggio della terapia: bloccare il processo infiammatorio sul nascere ed impedire l'evoluzione della patologia che in molti casi si conclude con un ricovero in ospedale: «I pazienti che vengono trattati tra il primo e il quinto giorno dal contagio rispondono molto meglio degli altri e si negativizzano piuttosto precocemente, gli altri con un andamento più lento ma nessuno sviluppa la malattia in forma grave, tale da richiedere l'ospedalizzazione». 

Anche pazienti giovani

Dopo un periodo di latenza anche in Calabria la terapia monoclonale inizia a prendere piede e con ottimi risultati, anche se lo scetticismo nei confronti della terapia non manca. A riferirlo il medico dell'Usca che conferma alcuni casi di rifiuti riferibili a pazienti eleggibili. «Abbiamo avuto pazienti di tutte le età - spiega Pintaudi -, la più giovane una ragazza di 17 anni che è stata trattata con gli anticorpi monoclonali. Naturalmente i pazienti con una età più avanzata sono anche quelli che presentano più comorbilità e che più facilmente possono evolvere verso la malattia grave».