Questa mattina i Carabinieri della Compagnia di Corigliano Calabro hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di tre misure cautelari in carcere, emessa dal Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Capo Nicola Gratteri, nei confronti di altrettanti indagati. I reati contestati sono quelli di concorso in estorsione aggravata eseguita con il metodo mafioso, danneggiamento ed occupazione aggravati.

L’ indagine è stata coordinata dal Procuratore Aggiunto Vincenzo Luberto e dal Sostituto Procuratore Alessandro Riello.

I soggetti arrestati sono Giacomo Pagnotta, 44enne coriglianese, pluripregiudicato anche per reati associativi; Francesco Sabino, 28enne coriglianese, con precedenti penali, Marco Giuseppe Vitelli, 24enne coriglianese, con precedenti penali.

Decidevano chi doveva stare nelle case popolari 

Le indagini, condotte dai militari della Sezione Operativa della Compagnia di Corigliano Calabro, traggono origine da diverse segnalazioni provenienti dai legittimi assegnatari di abitazioni di edilizia residenziale pubblica (comunemente conosciute come case popolari), in cui si affermava che diversi immobili erano stati arbitrariamente occupati da persone sistemate all'interno dagli odierni arrestati.

Più in dettaglio, il quadro delineato si fonda sulle attività investigative svolte dai Carabinieri ausonici che hanno permesso di appurare come in almeno un caso, presso un alloggio popolare dello scalo di Corigliano, gli indagati compivano ripetute azioni, attuate con modalità mafiose, finalizzate a coartare i legittimi titolari ed a provocare in loro la rinuncia ad un diritto patrimoniale, con il conseguente danno materiale e morale. Tali azioni erano finalizzate  «non solo - come si legge nel dispositivo - a preservare l’impunità degli indagati, ma anche e soprattutto a far conservare all’illegittimo possessore l’utilizzo dell’appartamento occupato, attraverso l’intimidazione del legale titolare».

Utilizzati metodi di intimidazione mafiosa

Gli arrestati utilizzavano veri e propri metodi d’intimidazione mafiosa, per il qual motivo il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso: alle vittime indicavano la parentela dell’illegittimo possessore dell’alloggio popolare, da loro sistemato, con un soggetto già condannato per reati associativi, ingenerando negli stessi un inevitabile timore, cui si aggiungevano affermazioni minacciose e danneggiamenti compiuti per entrare nei locali o nelle loro pertinenze.

Inoltre il profilo criminale dei tre soggetti veniva appurato non solo dai loro precedenti penali, reati contro il patrimonio e la persona e nei confronti di Pagnotta anche reati associativi,  «che certificavano la loro persistenza di una specifica capacità a delinquere rivolta al detrimento del patrimonio e della libertà altrui», ma anche dal loro inserimento nel contesto criminale locale, tanto da potersi permettere«di spendere il nome di un soggetto già condannato in via definitiva per il reato di associazione mafiosa» ed ingenerare uno stato d’intimidazione nei confronti delle vittime.

Contestualmente sono state eseguite diverse perquisizioni domiciliari, anche con l’ausilio delle unità cinofile dello Squadrone Carabinieri Cacciatori di Calabria e controlli mirati nelle case popolari dello scalo coriglianese per acclarare altre illegittime occupazioni.