L’iniziativa è stata promossa dalla Camera Penale “Fausto Gullo” e condivisa dalla magistratura cosentina che si è unita al coro di solidarietà e difesa dei diritti umani violati in Iran
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Processi sospesi per 15 minuti nel ricordo delle donne iraniane vittime del regime di Khamenei. Ha colto nel segno l’iniziativa promossa dalla Camera Penale “Fausto Gullo” di Cosenza, a difesa dei diritti umani che ogni giorno vengono calpestati in Iran. Anche la magistratura cosentina, dal presidente del tribunale ai giudici della sezione penale di Cosenza, dai pm agli uffici giudiziari, ha accolto con rispetto e solidarietà lo spirito della giornata, in memoria di Masha Amini, Nasrin Sotoudeh, Narges Mohammadi, donne condannate in nome della repressione della libertà, in nome dei diritti violati.
Nel corso dei quindici minuti di sospensione il presidente, la vicepresidente e i consiglieri del direttivo della Camera penale, hanno letto i documenti redatti in memoria della giovane Amini e in difesa di Sotoudeh e Mohammadi. Ricordate anche la 17enne Nika Shakarami e Sarina Esmailzadeh: aveva 16 anni.
Forti le emozioni, durante la lettura dei documenti, dinanzi al collegio della sezione penale, presidente Francesco Luigi Branda, giudici a latere Iole Vigna e Maria Teresa Castiglione, e del pubblico ministero Giuseppe Cozzolino. Analoghe le reazioni dinanzi alla Corte di Assise di Cosenza, composta dalla Presidente, Paola Lucente, e dal Giudice a latere, Marco Bilotta, e del magistrato Domenico Frascino, mentre era in corso un processo per femminicidio, avvenuto nei mesi scorsi a Fagnano Castello. Scene di commozione anche nelle udienze monocratiche presiedute dai giudici Urania Granata, presidente della sottosezione Anm di Cosenza, e Francesca De Vuono.
È stato, tra l’altro, ricordato il pensiero, sempre attuale, dell’avvocato Luigi Gullo, precisamente il suo intervento all’inaugurazione della Camera penale di Cosenza, negli anni ’70: «L’avvocato penalista dedica la propria vita non alla difesa del delitto ma alla difesa dell’uomo, perché “a professione – o se proprio volete così, la missione – del penalista è professione di libertà invisa ai tiranni e alle sgangherate democrazie in quanto noi siamo costantemente in posizione polemica con il potere quando esercita la sua violenza con la indiscriminata repressione”».
I penalisti cosentini hanno concluso gli interventi ricordando, anche, la “mattanza carceraria italiana”, cosi chiosando: «Siamo qui, con il nostro cencio nero indossato, per la dignità dell’essere umano. Che è tradita nonché messa in pericolo in tutti i casi nei quali lo Stato non ne è più garante. E siamo qui per ricordare, sempre con la Toga addosso, che lo strazio della dignità consumato dal regime iraniano deve essere da monito anche per le ritenute democrazie occidentali. In cui ancora si muore di -e nel- carcere. Anche lo Stato che si dimentica di tutelare la dignità dei propri cittadini è colpevole di dignità negata, di dignità tradita. La mattanza carceraria italiana: 65 suicidi in nove mesi, negli istituti penitenziari da cui donne e uomini avrebbero dovuto trarre la nuova e vitale linfa della risocializzazione anziché la morte. Dignità, dunque, per vivere nel regime iraniano. Dignità, anche, per non morire nelle nostre carceri».