Dalla postazione di Piazza dei Bruzi, ricavata su uno dei mezzi mobili del lungo corteo del Pride di Cosenza, approdato davanti la casa comunale addobbata con un maxi striscione con i colori della pace, la presidente nazionale di Arcigay Natascia Maesi, va giù dura contro l'atteggiamento del Governo nei confronti delle comunità Lgbtqia+, all'indomani del G7 ospitato in Puglia, al termine del quale sul documento finale sono state cancellate le parole aborto, identità di genere e orientamento sessuale su «richiesta della Premier Meloni – tuona Natascia Maesi – che sostiene di non avere nulla contro di noi ma poi rifiuta di sottoscrivere la dichiarazione dell'Unione Europea sui nostri diritti. La verità è che siamo perseguitati da questo governo».

«Ritorno al passato»

«Qui non si tratta solo di un ritorno al passato, perché non si è mai visto un accanimento di queste proporzioni. Siamo in piazza anche per fare sentire la nostra voce in contrasto all'onda nera della destra reazionaria che ci sta travolgendo». Parole dure che riempiono di contenuti politici l'affollata manifestazione partita da Piazza Loreto, che ha colorato il centro cittadino con la sua festosa e travolgente energia, trasgressiva al punto giusto. Non si tratta solo di rivendicare il diritto di esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale. C'è ben altro in ballo; la discriminazione nei luoghi di lavoro, il diritto alla genitorialità, quello per la transizione di genere, fino a quello più ovvio, quasi banale, di poter camminare mano nella mano per strada con il proprio partner senza rischiare di essere aggrediti. E non solo verbalmente.

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La maternità negata

«L'Italia è sprofondata al 36mo posto nella Rainbow Map – ricorda ancora la presidente di Arcigay - su 49 Paesi europei classificati in base agli sviluppi legislativi nell’ambito dei diritti Lgbtqia+. Siamo dietro l'Ungheria di Orban. Il 53 percento degli italiani Lgbtqia+ dichiara di aver paura nel vivere serenamente e alla luce del sole la propria identità di genere. Non ci arrenderemo mai alla violenza. Continueremo ad essere in migliaia nelle piazze, nelle istituzioni, nelle scuole, nelle aziende». Natascia Maesi ha poi espresso solidarietà alle madri di fatto e non di diritto «costrette ad ingaggiare battaglie legali estenuanti e costose per ottenere il pieno riconoscimento della loro maternità. Perché l'Italia – ha detto – è il Paese in cui la madre legale è colei che partorisce mentre chi fin dal primo giorno si assume la responsabilità della cura pur non essendo il genitore biologico, per lo Stato è solo un fantasma».

«Tanti modi di essere genitori»

«Siamo in piazza anche per dire che non siamo disposte a ridurre l'esperienza ricca della genitorialità solo alla maternità o alla paternità biologica. Si è genitori in tanti modi, tutti bellissimi: si è genitori adottivi, affidatari, intenzionali e tra loro le persone che hanno fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita o alla maternità surrogata dovrebbero essere riconosciute come tali, uguali davanti alla legge. Soprattutto perché a chiedercelo sono i loro bambini». Poi un'ultima stoccata: «Il pericolo più brutto di questo tempo non è l'ideologia gender che non esiste, ma la violenza patriarcale, strutturale, sistemica, che ha il volto del razzismo e del suprematismo bianco, del sessismo e della misoginia, del bullismo omolesbobitransfobico. E tutto questo si combatte con l'affettività e l'educazione al rispetto delle differenze, quelle differenze che non vogliamo annullare ma celebrare come testimonianza della nostra unicità. Il vero pericolo di questo tempo – ha chiosato – è il fascismo, l'abuso di potere, i manganelli che segnano il tramonto della democrazia. Perché uno Stato che criminalizza e reprime il dissenso non è uno Stato democratico».