Doppie case popolari a un singolo nucleo familiare; quasi cento appartamenti nemmeno accatastati; alloggi assegnati a chi, per reddito, non ne avrebbe titolo o, addirittura, possiede altri immobili; pratiche chiuse nei cassetti e altre che sfruttavano corsie preferenziali; contratti mai registrati: dietro l'edilizia residenziale pubblica e la sua gestione da parte del Comune di Cosenza dal 2014 ad oggi c'è un mondo di sprechi e irregolarità. A rivelarlo è la relazione con cui la Sercamm – scacciata in malo modo un mese fa da Palazzo dei Bruzi, con recesso unilaterale dal contratto quinquennale sottoscritto a metà del 2017 – descriveva ai suoi referenti in municipio quanto fatto fino al 31 dicembre del 2019.

Gli affidamenti diretti alla Sercamm tra il 2013 e il 2017

L'azienda romana, in realtà, era arrivata in piazza dei Bruzi circa tre anni e mezzo prima di aggiudicarsi l'appalto bruscamente interrotto ad aprile. E, di affidamento diretto in affidamento diretto, si era occupata da principio – era il dicembre del 2013 - del riallineamento dei dati sul patrimonio immobiliare del Comune per 23.790 euro. Poi, con altri tre incarichi di consulenza consecutivi, della valorizzazione delle case popolari. Il primo risale al novembre del 2014 e si è concluso nell'estate dell'anno successivo. Il costo? Venticinquemila euro, più altri 5.500 per l'Iva. Pochi mesi di pausa e arriva il bis. Il 22 dicembre 2015, infatti, l'incarico viene rinnovato in prosecuzione del precedente. E due giorni dopo Sercamm presenta già la nuova fattura da 19.250 euro, il costo stabilito per continuare il lavoro svolto fino a quel momento. Ma siccome non c'è due senza tre, ecco che a febbraio 2016 arriva il terzo affidamento diretto consecutivo. In ballo stavolta ci sono 29.280 euro, una spesa che – forse perché le cifre cambiano di rinnovo in rinnovo – nelle determine dirigenziali viene definita «non ricorrente».

La gara d'appalto quinquennale e il recesso dopo meno di tre anni

A ottobre del 2016 il Comune decide che è arrivata l'ora di fare finalmente una gara d'appalto. La base d'asta è un milione e 200mila euro e ad imporsi è proprio Sercamm con un'offerta di 980mila euro Iva inclusa. L'aggiudicazione si perfezionerà con la sottoscrizione del contratto soltanto nella tarda primavera dell'anno successivo. Dal 12 giugno del 2017 a quello del 2022 per l'azienda è previsto un compenso di 16.348 euro al mese per occuparsi della gestione delle case popolari. Sono poco più di 196mila euro all'anno, tranne per il 2017 che ne costerà (visto che i mesi di lavoro saranno poco meno di sette) solo 107.900. Ma, per non perdere le vecchie abitudini, Palazzo dei Bruzi farà a Sercamm anche un quarto affidamento diretto a dicembre di quell'anno: 39mila euro – la soglia massima consentita è 40mila – più Iva per redigere il Piano delle alienazioni 2017.

 

Nonostante la durata dell'appalto sia di cinque anni, però, in municipio impegnano le somme necessarie a liquidare le fatture della società soltanto fino a giugno del 2019, forse perché ormai il dissesto incombe. Da quel momento, fino al recesso arrivato a metà aprile del 2020, negli atti pubblicati dal Comune di Sercamm non ci sarà più traccia. Dall'inizio dell'appalto per la gestione delle case popolari risulta che Palazzo dei Bruzi ha pagato poco più di 400mila euro – ma mancano all'appello altri 160mila del periodo che va da luglio 2019 alla chiusura del rapporto tra le parti, oltre ai soldi del Piano delle alienazioni – per incassarne circa 455mila. Un ottimo motivo per optare per il recesso dal contratto, troppo oneroso rispetto ai benefici ottenuti, ma forse non l'unico.

La relazione di fine 2019 e le criticità riscontrate

Quello dell'edilizia residenziale pubblica, infatti, è uno dei pincipali serbatoi di voti della città. Ed è un pentolone che in molti, dai politici ai burocrati, potrebbero preferire non venga scoperchiato. Il report consegnato da Sercamm al termine dello scorso anno, infatti, è un racconto che non fa certo onore al Comune e al modo in cui si occupa delle case popolari. Anzi, evidenzia come le irregolarità a cui l'azienda ha provato (senza troppo successo) a chiedere rimedio siano numerose. Il documento si apre, infatti, con una precisazione: «dalla documentazione reperita presso l’Ufficio Patrimonio si è immediatamente palesata una imprevista situazione di criticità gestionale in cui versa il Settore». E le anomalie riscontrate sono tante e di vario genere.

Niente contratti o accatastamenti e canoni eccessivi: centinaia di case popolari nel caos

I tecnici di Sercamm scoprono, ad esempio, che il Comune non ha mai accatastato 93 alloggi, cosa che rende impossibile procedere con il calcolo del relativo canone di locazione. In numerosi altri casi, invece, i parametri utilizzati per calcolarlo hanno evidenziato «lacune riguardanti alcuni coefficienti usati in passato dagli uffici comunali». Ma c'è di peggio. Palazzo dei Bruzi non ha mai stipulato un regolare contratto di locazione con gli inquilini delle case popolari di:

• Via Paolo Orsi

• Via Rubens Santoro

• Via Ferrari d’Epaminonda

• Via Michele De Marco

• Via Enrico Salfi

• Via Pasquale Perugini

• Via Francesco Martire

• Via Gioacchino Abate

• Via Raffaele Salerno

• Via Lungo Busento Tripoli

• Piazza Caduti di Capaci

 

In alcuni casi, scrive Sercamm, c'è solo «una documentazione sommaria di assegnazione». In altri, «un semplice attestato di consistenza».

Quanto agli arretrati accumulati dai cosentini tra il 2013 e il 2017, su 376 inquilini morosi nemmeno uno aveva versato più di qualche spicciolo, a fronte di quasi 270mila euro di crediti complessivi vantati da Palazzo dei Bruzi. Né quest'ultimo aveva provveduto a chiederli o proporre rateizzazioni. Erano invece ben 172 le case popolari per le quali il municipio esigeva un canone mensile più alto del dovuto. Risultava, infatti, che avessero una rendita catastale A/3 (abitazione di tipo economico) e non A/4 (abitazione di tipo popolare).

Il "versamento selvaggio" e i conti che non tornano

Sempre a proposito di pagamenti, fino a settembre 2019 a Cosenza vigeva quello che Sercamm definisce il «versamento selvaggio». Fino a quel momento, si legge nella relazione, c'era invece «il vecchio sistema di pagamento manuale che consentiva agli occupanti degli alloggi Erp di versare in modo arbitrario qualsiasi cifra loro volessero e di autodichiarare la causale del versamento». La conseguenza? «Una disordinata e non veritiera situazione contabile delle singole posizioni». L'introduzione di un sistema digitalizzato e aggiornato ha risolto il problema, ma ha creato «situazioni di nervosismo da parte dei contribuenti, che hanno contestato il fatto di non poter pagare la cifra da loro decisa (tipo salvadanaio)».

I privilegiati: due case popolari a famiglia, alloggi a chi non ha titolo

Chiudiamo con le irregolarità riscontrate che più stridono con l'obiettivo che dovrebbe avere l'edilizia residenziale pubblica: dare un tetto a tutti, anche a chi non può permettersene uno. Ci sono ben 34 case popolari che risultano assegnate a soli 17 nuclei familiari. E queste doppie assegnazioni non sono consentite dalla normativa vigente. Ulteriori otto appartamenti risultano assegnati, a loro volta, a cosentini che sono proprietari di altri immobili e che, per questa ragione, non dovrebbero beneficiare di quelli comunali. E ci sono anche 28 casi in cui gli inquilini hanno redditi più alti di quelli che giustificherebbero la loro permanenza nell'immobile assegnato loro. Altri 11 alloggi, invece, sono occupati da persone che non ne hanno diritto né possono richiedere una sanatoria.

 

Anche se provassero a farlo non saprebbero comunque quando in municipio ci si occuperà della loro pratica. C'è infatti, scrive ancora Sercamm, una problematica assai diffusa nel Comune di Cosenza: «molte istanze e domande sottoscritte dagli occupanti, pervenute negli anni presso l’Ufficio Patrimonio, non hanno mai ricevuto una risposta in merito alla loro richiesta». Altre, invece, «pervenute cronologicamente dopo, hanno visto concludersi il loro procedimento mediante un atto conclusivo». Ci sono, insomma, posizioni che vengono trattate prima di altre che avrebbero la precedenza e «la mole di richieste inevase da parte degli uffici comunali risulta essere consistente in termini numerici». La legge 190/2012, invece, prevede che nella trattazione e nell’istruttoria degli atti si rispetti l’ordine cronologico di protocollo dell’istanza.