VIDEO E FOTOGALLERY | Un serpentone di quasi mille persone ha sfilato per le vie del capoluogo bruzio con striscioni e cartelli: «Non serve nessun minuto di silenzio, non è il momento di stare zitte, non lo saremo mai più»
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Ad aprire il corteo un drappo con una frase diventata tristemente celebre nei giorni scorsi. “Se domani non torno, bruciate tutto!”. Alle 18 in piazza XI Settembre a Cosenza non c’erano soltanto attiviste e attivisti dell’area urbana, c’erano anche mamme e figlie, cittadini e cittadine non impegnati. Così, tutti insieme, collettivamente si è deciso di non limitarsi ad un semplice sit-in come annunciato. Un pacifico serpentone di centinaia di persone, quasi mille, ha sfilato per il centro del capoluogo bruzio catalizzando l’attenzione dei passanti, alcuni dei quali si sono uniti ai manifestanti.
Cronaca di un pomeriggio caldo di passione, di rabbia, scelto per ricordare Giulia Cecchettin, la ragazza uccisa la scorsa settimana dal fidanzato perché in procinto di laurearsi prima di lui. I presenti hanno scandito slogan contro la violenza di genere e il patriarcato. Hanno esposto i loro cartelli e sventolato le bandiere tipiche dell’associazionismo bruzio. Immancabili anche quelle della Palestina. Il corteo ha attraversato via Montesanto, superato l’incrocio di viale Trieste e imboccato corso Umberto fino a Palazzo dei Bruzi. Lo striscione più eloquente recitava: “Il patriarcato ci consuma, logora, calpesta, picchia, stupra. Ci fa a pezzi e uccide. Un minuto di silenzio non vi assolve: siete tutti coinvolti”.
«Siamo stanche e arrabbiate di dover vivere in un costante stato d’allerta, di doverci proteggere dalla violenza di uomini che non sono malati, ma sono i figli di un sistema educativo e valoriale in cui noi veniamo percepite come oggetti di loro proprietà. Siamo stanche - hanno detto molte di esse - di dover fare attenzione quando torniamo a casa, siamo stanche di temere per la nostra vita se prendiamo un treno di notte, non vogliamo più dover pensare a come vestirci per evitare di essere molestate per strada».
Le attiviste hanno spiegato che «di fronte a istituzioni cieche, mute e sorde, che si ricordano della violenza di genere soltanto nelle date comandate, riempite di inutili conferenze, e che ogni tanto dipingono una panchina di rosso, vogliamo dire basta alle azioni simboliche che non ci tutelano e che non cambiano di una virgola il presente».
«Pretendiamo azioni concrete, educazione sentimentale e sessuale nelle scuole, più finanziamenti ai centri antiviolenza, ai servizi sociali e a tutte quelle associazioni che ogni giorno si spendono per contrastare una piaga sociale che miete centinaia di vittime all’anno. Non serve – hanno concluso - nessun minuto di silenzio, non è il momento di stare zitte, non lo saremo mai più».