Le manette erano scattate all’alba del 26 gennaio 2012. A finire dietro le sbarre Giuseppe Carotenuto, noto ristoratore di Cosenza, da quasi tre anni consigliere provinciale con alle spalle anche una breve presenza tra i banchi dell’assise di Palazzo dei Bruzi. E poi Gianfranco Vecchione e Giovanni Falanga. Pesanti le accuse contestate: associazione a delinquere finalizzata alla commissione di più reati di truffa aggravata, nell’ambito della gestione di due Confidi (due consorzi), l’Opus Homini e il Finlabor. Secondo la Procura i tre lucravano nel fornire le garanzie presso il Ministero dell’Economia, necessarie per l’erogazione di fondi antiusura a piccole e medie imprese.

L’avvio dell’inchiesta

Dopo otto anni di sofferenze, il tribunale in composizione collegiale, presieduta da Urania Granata, ha assolto i tre imputati, difesi dagli avvocati Cristian Cristiano, Innocenzo Palazzo, Pasquale Naccarato e Carlo Salvo, perché il fatto non sussiste. Le contestazioni mosse, inerenti fatti accaduti tra il 2008 ed il 2010, e che avevano portato inizialmente alla carcerazione preventiva di tutti gli imputati, ipotizzavano la formazione di un sodalizio criminoso che, operando fraudolente valutazioni delle condizioni di merito creditizio delle aziende interessate a richiedere i fondi e falsificando le lettere bancarie di rigetto delle predette richieste di finanziamento, aveva introitato ingenti commissioni, pari quasi a 500 mila euro, inducendo in errore il Ministero per l’Economia, poi costituitosi parte civile.

«Neanche un euro incassato in maniera illecita»

In ragione dell’andamento dell’istruttoria dibattimentale e della deposizione dei quasi cento testimoni, in grado di far comprendere quanto errate fossero le premesse da cui si era dipanata l’indagine, hanno convinto anche la Procura, rappresentata dal sostituto Antonio Bruno Tridico, a convergere sulla richiesta di assoluzione. Durante il processo, infatti, è stato chiarito come in nessun momento i finanziamenti erogati dal Ministero fossero mai transitati nella disponibilità degli imputati i quali, peraltro, avevano sempre agito alla luce del sole, documentando il versamento delle varie commissioni ed informando, preventivamente, i titolari delle varie ditte delle spese di istruttoria e dei compensi da erogare.

Travisato il meccanismo di funzionamento dei Confidi

Il tribunale, inoltre, ha rigettato tutte le richieste risarcitorie avanzate dalle parti civili costituite, in ragione della provata liceità delle condotte di tutti gli imputati. Analoga sentenza assolutoria è stata pronunciata anche per le ipotesi di truffa e induzione indebita contestate, a vario titolo, a Carotenuto e Vecchione, in relazione al versamento di somme di denaro per le quali si era ipotizzata inizialmente una richiesta concussiva. Dichiarate prescritte le residuali ipotesi di reato ancora rimaste in piedi.

La nota degli avvocati difensori

«La pronuncia intervenuta scrive la parola fine ad una vicenda paradossale in cui il travisamento dei meccanismi del funzionamento dei Confidi e dei fondi antiusura, ha costretto in carcere degli innocenti, ulteriormente vessati dalle lungaggini di un processo protrattosi per tanti, troppi anni – scrivono in una nota i legali di Carotenuto, Vecchione e Falanga - Le sentenze parziali di prescrizione impediscono di provare piena soddisfazione per l’esito di un processo, scontato sin dall’inizio, che ha dimostrato l’assoluta fragilità del castello accusatorio in relazione alle contestazioni più gravi per le quali, di contro, ampia è stata la formula assolutoria».

«Professionisti messi alla gogna»

«Ancora una volta lo strumento della carcerazione preventiva, in luogo dell’alternativa possibilità di approfondire gli accadimenti senza la pressione esercitata dalle manette, si è rivelato inadeguato e da rivedere soprattutto in vicende che ha riguardato onesti professionisti. Si tratta solo di un ristoro parziale delle indicibili sofferenze patite a fronte di accuse apparse sulle prime pagine della stampa con tanto di foto in bella mostra e conseguente gogna mediatica».