VIDEO | Dopo i decreti anti coronavirus si moltiplicano gli appelli di quanti hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione e non possono rientrare nelle località in cui risiedono. Ecco le loro storie
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Tornano a farsi sentire i calabresi rimasti senza lavoro e bloccati al Nord dai decreti anti coronavirus. In realtà non hanno mai smesso di lottare, di fare rumore, di mobilitare i mezzi di comunicazione per favorire dei provvedimenti che gli consentano di uscire dal limbo in cui si trovano.
Ne avevamo parlato giorni fa, non appena erano state emesse le norme che vietavano gli spostamenti da comune a comune e la Regione Calabria aveva regolamentato l’accesso nei propri confini. Una situazione che stanno vivendo decine di persone e che ci troviamo ad affrontare anche noi quotidianamente nelle nostre redazioni: gli appelli sono incessanti e tutti hanno lo stesso tenore: «Fateci tornare a casa».
L’autista di Cetraro
Vi avevamo raccontato la storia di Mirko, autista di autobus di Cetraro messo in cassa integrazione a Milano e costretto a pagare un doppio affitto: per sé e per la propria famiglia in Calabria. Nel frattempo si sono aggiunti altri appelli, altre storie, altre voci di chi potrebbe essere un nostro familiare, amico o vicino di casa, vicissitudini amplificate dal fardello di essere fuori regione e, soprattutto, senza lavoro.
Il papà di Rossano
Pasquale ha lasciato la sua Calabria mesi fa per Bologna, ma il 16 marzo ha perso il posto. Al contrario di molti, ha agito con responsabilità restando dov’era, senza salire su un treno per tornare a casa nottetempo con il rischio di farsi infettare o infettare altri viaggiatori e la propria famiglia. Adesso, però, non ce la fa più: «Pago 500 euro di affitto in un b&b – ci dice – che dovrò lasciare a fine mese e in più devo mandare i soldi giù a Rossano per la mia compagna e mia figlia che non vedo da dicembre. Fra poco resterò in mezzo a una strada. Dove vado? Sotto un ponte?».
Una bomba sociale pronta ed esplodere, ma che potrebbe avere facile soluzione se le istituzioni trovassero un accordo rinunciando al consueto scaricabarile: «Sono disposto a fare quarantena – ripete Pasquale -, a chiudermi in una struttura, a fare tutto quello che le autorità mi chiedono. Però fatemi tornare, sono un papà disperato».
L’appello di Antonio
Un appello che ha molto in comune con quello di Antonio (nome di fantasia), pronto a testimoniare ma preoccupato di mettere in agitazione la propria famiglia: «Sono finito in cassa integrazione – ci dice in un video che ci chiede di lasciare anonimo – e vorrei tornare in Calabria per riabbracciare mio figlio nato prematuro, ma sono fermo qui in Lombardia. Vi prego di fare qualcosa perché ho assoluto bisogno di ricongiungermi con mio figlio».
La telefonata di Gerardo
Mentre scriviamo arriva un’altra telefonata: è Gerardo, un giovane di Tortora, nel Cosentino: «Sono bloccato a Bologna e il 15 aprile dovrò lasciare la casa perché ho perso il lavoro. Vorrei tornare in Calabria, ovviamente seguendo l’iter, per ricominciare una vita normale (per quanto possa esserlo in questo momento), ma non posso. Spero che qualcuno mi aiuti».
Il medico fermo ad Aosta
Poi c’è Francesco, medico di Belvedere Marittimo, anche lui rimasto sospeso, ma un po’ più a nord: «Sono qui ad Aosta con mia moglie, saremmo dovuti partire il 27 marzo, ma ovviamente non c’è stato niente da fare. Adesso avremmo un volo il 7 aprile, ma dubito che potremo tronare a casa, dove tra l’altro viviamo da soli e potremmo fare la quarantena senza problemi».
Potremmo continuare ancora all’infinito, elencare i nomi di quanti non sono stati abbandonati dai propri sindaci o di quanti, invece, urlano nel silenzio e telefonano da giorni alle istituzioni locali senza risposte. Noi, da cronisti, abbiamo il dovere di dargli voce, di non ignorare il grido di dolore e di aiuto dei nostri corregionali. Ma, adesso, qualcuno dovrà pur dare delle risposte nero su bianco.