Michele Trungadi all’isolamento è abituato. Vive nella sua azienda agricola, diventata negli anni anche una fattoria didattica, che si trova in una campagna che definire inaccessibile è definire poco. Per arrivarci, qui sulle colline che collegano le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia – nel territorio di Serrata – bisogna proprio volerlo.

E siccome con le regole del confinamento in corso nessuno può arrivare, il contadino e il figlioletto che in questo periodo vive con lui, fanno le cose di sempre e mettono le mascherine solo quelle rare volte che vanno in paese. «Siamo all’autoproduzione da una vita – spiega Trungadi – l’orto ci sta da dando da mangiare e l’unica cosa che mi manca è il contatto con la gente, che posso vedere solo quelle volte che bisogna comprare cose che la terra non offre». Insomma, una condizione quasi felice se non fosse che il contadino inventore dell’azienda Terre di Vasia oltre a curare l’orto e a badare agli animali – soprattutto asini e maiali, ma anche oche e cani – dice di soffrire per quello che vede quando “torna” nella civiltà.

«È una tristezza vedere i paesi chiusi – commenta – ma penso che nei piccoli centri le difficoltà si affrontino meglio rispetto alla città: nel piccolo centro lo trovi sempre un pezzo di terra dove puoi coltivare». Abituato all’isolamento, sono veramente poche le novità. «Mio figlio mi ha imposto di non vedere i telegiornali – aggiunge – per non sentire più la parola coronavirus e quindi la nostra giornata è scandita dai suoi giochi all’area aperta, dai lavori nell’orto e da tutte le attività con gli animali che non comportano contatti con il pubblico».

C’è nostalgia per i visitatori che non si possono accogliere, ma questa è anche la Calabria dalle “scarpe grosse” che – pur immersa nella crisi - sa anche lanciare auspici esistenziali ed economici. «Penso – conclude Trungadi – che tornerà un tempo di rinascita e la speranza è che si faccia come nel Dopoguerra, tornando a vivere e a far fruttare queste terre».