«Stamattina ho chiesto al Dipartimento di prevenzione dell’Asp quanti fossero i residenti nel mio Comune da mettere in quarantena e mi hanno risposto che non ne risultava nessuno. Eppure so per certo che almeno una dozzina di miei compaesani sono tornati dalle zone a rischio».
Non si capacita Antonino Schinella, sindaco di Arena, piccolo centro del Vibonese. È lui a denunciare quella che appare a tutti gli effetti come una grave falla nella gestione dei cittadini rientrati in Calabria dalle regioni del Nord, dopo la fuga di notizie che sabato scorso ha innescato un esodo di massa in particolar modo dalla Lombardia.
«È assurdo quanto sta accadendo. Mancanza di comunicazione tra i vari livelli istituzionali, caos e incertezza normativa – continua –. Non basta emettere un’ordinanza regionale che obbliga alla quarantena e pensare che tutto sia stato risolto, perché così non è».

 

Il problema, come è noto, riguarda il rischio che molte persone rientrate in Calabria negli ultimi giorni abbiano portato con sé il virus del Covid-19, perché provenienti dalle zone dove si sono concentrati i focolai allo scoppio dell’epidemia in Italia. Una situazione che ha destato enorme preoccupazione nell’opinione pubblica e tra i governatori regionali, compreso la presidente della Calabria, Jole Santelli, che domenica 8 marzo ha emesso un’ordinanza, la numero 3, con urgenti misure per la prevenzione e la gestione dell’emergenza.

 

Il provvedimento prevede che a chiunque arrivi in Calabria o vi abbia fatto ingresso negli ultimi quattordici giorni dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico, debba essere applicata la misura della quarantena obbligatoria.
La procedura, così come prevista dalla Regione, stabilisce che i cittadini rientrati da queste zone devono comunicare tale circostanza al proprio medico di base, oppure -utilizzando il numero verde regionale 800 767676 - direttamente al Dipartimento di prevenzione dell’Asp competente, che a sua volta – valutato il rischio in base alla provenienza – avrebbe dovuto comunicare al sindaco del Comune di residenza la prescrizione di quarantena obbligatoria presso il domicilio dei singoli soggetti interessati, al fine dell’emanazione della relativa ordinanza.

 

Una catena di comando che però si è interrotta in diversi punti. Soltanto oggi, infatti, stanno giungendo ai Comuni le comunicazioni sulle persone nei confronti delle quali deve essere emessa un’ordinanza di quarantena obbligatoria, con un vuoto di quattro giorni durante i quali l’isolamento è stato imposto attraverso la sola ordinanza regionale (la numero 3 del 8 marzo, come accennato). Un provvedimento senza dubbio efficace da un punto di vista giuridico, ma privo di quel controllo territoriale che invece avrebbero potuto garantire i Comuni sin da subito se avessero saputo quali persone, in base al censimento regionale, dovessero essere sottoposte a quarantena.

 

«C’è da considerare - continua Schinella, che per tutta la giornata si è confrontato con colleghi sindaci alle prese con lo stesso problema - che nella stragrande maggioranza dei casi, chi è rientrato non avvertito direttamente il Dipartimento di prevenzione, ma ha preferito ricorrere ai medici di base, molti dei quali, soprattutto nei centri più piccoli, non hanno a loro volta informato l’Asp, limitandosi a raccomandare un periodo di isolamento volontario».

 

Un buco di 4 giorni che in queste ultime ore si sta chiudendo, perché dal Dipartimento di prevenzione stanno finalmente arrivando ai Comuni le comunicazioni con la prescrizione della quarantena per i soggetti censiti e gli enti stanno emettendo le relative ordinanze.
«Ci sono state gravi lacune nella gestione di questa situazione – conclude il sindaco di Arena -. Alcuni sindaci mi dicono che in queste ore stanno arrivando le comunicazioni e stanno emanando le ordinanze di quarantena. Ad Arena, invece, non è ancora arrivato nulla. I sindaci, che sono l’anello più debole della catena e allo stesso tempo i soggetti istituzionali più vicini ai cittadini, stanno vivendo giorni di grande inquietudine. Ritardi e negligenze non possono far altro che acuire il rischio contagio».


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