VIDEO | Nuova udienza del procedimento di secondo grado in svolgimento a Reggio contro Graviano e Santo Filippone. Il collaboratore di Rizziconi: «Il fermo avvenuto nel ’76-’77 a Roma di Piromalli, De Stefano, Condello e Mammoliti con uno della banda della Magliana era un preliminare del sequestro» (ASCOLTA L'AUDIO)
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Riscontri, pezzi di storia e ancora collegamenti tra ‘ndrangheta e Cosa nostra. Il vicequestore in servizio alla Dia, Michelangelo Di Stefano, ha nuovamente testimoniato oggi, in Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, dove si sta tenendo il secondo grado del processo ‘Ndrangheta stragista. Ma a riprendere la scena è stato il pentito Girolamo Bruzzese.
«Mio padre e Teodoro Crea mi dissero che la 'ndrangheta aveva le sue responsabilità nel rapimento del presidente Moro. Il fermo avvenuto nel 1976/1977 a Roma, presso il ristorante Il Fungo dell'Eur, dei soggetti Giuseppe Piromalli, Paolo De Stefano, Pasquale Condello, Mammoliti Saverio e l'esponente della banda della Magliana, era un preliminare atto al rapimento Moro». Lo ha scritto il collaboratore di giustizia Bruzzese in una lettera che il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ha prodotto oggi in aula durante il processo d'appello 'ndrangheta stragista contro Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, condannati in primo grado all'ergastolo per l'omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.
Il pentito ha scritto la lettera inviata al magistrato per fare alcune precisazioni in merito alla deposizione resa lo scorso 13 dicembre davanti alla Corte d'Assise d'appello di Reggio Calabria. In merito al ruolo che la 'ndrangheta avrebbe avuto nel rapimento Moro, il collaboratore Bruzzese non ha aggiunto altri particolari. Ha, però, parlato anche di un traffico di armi, che sarebbe stato gestito da un congiunto di Filippone, e di un grosso quantitativo esplosivo, e precisamente tritolo, che sarebbe stato in possesso delle cosche Mancuso e Piromalli. «Questi ne possedevano abbastanza - ha scritto - da tirare giù mezza montagna». Il procuratore aggiunto Lombardo ha chiesto che la lettera venga acquisita dalla Corte d'assise d'appello. Nei prossimi giorni, le difese di Graviano e Filippone valuteranno se prestare il consenso. Subito dopo la Corte deciderà se risentire in aula il pentito Bruzzese.
Ma a rimanere in aula per ore è stato Di Stefano con una ricostruzione dei fatti capillare, con indagini che hanno in parte dato riscontro alle parole dette dai collaboratori di giustizia. Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, l’investigatore ha riferito in merito al duplice omicidio dei carabinieri Vincenzo Fava e Antonino Garofalo, assassinati il 18 gennaio 1994.
In particolare, Di Stefano, ha portato riscontri alla testimonianza del pentito Girolamo Bruzzese che aveva riferito in aula circa un presunto summit «avvenuto nella campagna di Polistena con un gruppo di grandi capi nel terreno di Peppe Piccolo in epoca successiva all’omicidio di Aldo Moro. Berlusconi e Craxi arrivarono anche con Nino Gangemi nipote di Molè», disse il collaboratore.
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In aula oggi, Michelangelo Di Stefano, ha dato conto della «presenza di Craxi a Reggio Calabria il 5 marzo del 78 al teatro Cilea e successivamente». Una seconda presenza «è stata registrata l’uno giugno 79, proveniva da Palermo con un volo privato. Dall’archivio della fondazione Craxi - ha spiegato l’investigatore - abbiamo trovato altri spunti. Rileviamo una lettera del professor Cardillo di Milano rivolta a Craxi sul quinto centro siderurgico da costruire a Gioia Tauro». Nella lettera letta in aula l’opera «che ricadeva in un territorio dove era riscontrata l’ingerenza dei Piromalli», era ritenuta «inutile». Inoltre, ha confermato Di Stefano «Ai parlamentari, che sostenevano quel progetto era nota l’infiltrazione mafiosa nel territorio».
Secondo la ricostruzione della Dda, avvalorata dalla sentenza di primo grado, l’omicidio dei due carabinieri sarebbe rientrata in un quadro di un più vasto progetto di destabilizzazione delle istituzioni ad opera dei servizi di sicurezza deviati, di logge massoniche deviate, di 'ndrangheta e Cosa nostra. Proprio per questo in aula sono tornati ad essere esaminati i contatti che le cosche calabresi hanno avuto con la Sicilia. In particolare, il vicequestore ha ripercorso presunte attività e contatti con 'ndrangheta e Cosa nostra: «Pino Mandalari, commercialista di Totò Riina, soggiornava a Villa San giovanni quando avvenne l'omicidio del giudice Scopelliti». Non solo, «Piromalli soggiornò in Sicilia dove strinse legami con i massimi vertici di Cosa nostra. Rapporti con i siciliani documentati anche dall’Fbi».
Ma ha dato riscontro anche della presenza il «30 e 31 ottobre del ’79 di Andreotti a Villa San Giovanni all’hotel Santa Trada con la moglie per ricevere amici». Lunghe ore che hanno visto nuovamente tirato in ballo il boss Matteo Messina Denaro e i rapporti con la ‘ndrangheta. E hanno portato anche a rivedere l’informativa del gennaio 2022 per «comprendere le capacita di ricordo di Bruzzese», ha confermato il pm Lombardo.
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Ed è stato dato riscontro, ha confermato Di Stefano «a un incontro con Rocco Santo Filippone nel 2003 a bordo di una Fiat Uno verde. Abbiamo rintracciato una nota dei carabinieri di Melicucco che riporta l’identificazione del figlio di Filippone a bordo di una Fiat Uno verde». Un punto sul quale si continuerà a discutere alla prossima udienza fissata il 10 febbraio durante la quale si approfondirà anche una missiva che il pentito Bruzzese ha inviato alla Procura con nuovi dettagli.