Quattro anni di attesa per la fine di un incubo. Franco Saragò, noto esponente di Legambiente, ed all’epoca dei fatti consigliere comunale di minoranza del Comune di Ricadi, nulla ha a che vedere con lo scioglimento degli organi elettivi dell’ente per infiltrazioni mafiose deciso nel 2014. E’ stata la Corte d’Appello di Catanzaro, sezione civile, entrando questa volta nel merito delle contestazioni, a spazzare via la richiesta di incandidabilità avanzata dal Ministero dell’Interno sulla scorta di una lettura che è stata ritenuta ora dai giudici errata. Le responsabilità per lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Consiglio comunale di Ricadi sono invece da addebitare alle condotte dell’allora maggioranza ed in particolare della giunta comunale e dell’allora sindaco, Pino Giuliano, e dell’ex assessore ai Lavori pubblici, Giuseppe Di Tocco, dichiarati infatti incandidabili. 

A spiegare oggi la vicenda nel corso di una conferenza stampa, lo stesso Franco Saragò ed il suo avvocato, Antonio Scuticchio, che l’ha seguito in questi anni dinanzi al Tribunale di Vibo - che nel 2015 aveva dichiarato improcedibile la richiesta del Ministerodell’Interno ritendo già scontato l’eventuale turno di incandidabilità - poi dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro (che aveva confermato l’interpretazione della norma fatta dal Tribunale di Vibo) ed infine in Cassazione che aveva annullato con rinvio la decisione stabilendo che la norma va intesa nel senso che gli amministratori individuati come responsabili, con le loro condotte, dello scioglimento per infiltrazioni mafiose di un ente locale debbano scontare un turno elettorale di incandidabilità sia alle elezioni comunali del proprio Comune sia alle elezioni provinciali che a quelle regionali. Da qui un nuovo giudizio di secondo grado dove questa volta i giudici sono entrati nel merito delle contestazioni rivolte dal Ministero dell’Interno nei confronti di Franco Saragò. E la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro non lascia ombra di dubbi su interpretazioni di sorta. “Franco Saragò - scrivono i giudici - non ha partecipato a nessuna delle condotte inquadrate come criminose  e lesive del buon andamento del Comune di Ricadi”. 

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Ed ancora: “Significativa, in senso contrario, è la circostanza in virtù della quale il comportamento perpetrato negli anni da Saragò denotiuna propensione alla lotta alla criminalità organizzata, anche attraverso attività improntate alla legalità, e non un atteggiamento a favore della stessa”. Dalla documentazione in atti risulta quindi che “Franco Saragò - rimarca la Corte d’Appello - è una persona di buona condotta, immune da pregiudizi penali e di polizia, non ritenuto affiliato o contiguo agli ambienti della criminalità organizzata o comune. Dalle intercettazioni svolte nei confronti dello stesso, nel periodo 2007-2008, non è emerso alcun elemento tale da imputare a Saragò una possibile collusione con l’ambiente malavitoso ricadese”. Franco Saragò, quindi, “non ha concorso in alcuna delle condotte che hanno portato allo scioglimento del Comune di Ricadi”, né ha mai ricevuto appoggi elettorali da clan, né ha mai compiuto “atti di ingerenza negli affari amministrativi”. Del resto, la Corte d’Appello ricorda che “la mera partecipazione al Consiglio, peraltro come rappresentante della minoranza, non è elemento idoneo a fondare un’ipotesi di responsabilità in capo a Saragò”. 

 

Una battaglia vinta, dunque, per Franco Saragò, ed una verità ristabilita. Resta però l’amarezza per uno Stato (il Ministero dell’Interno, nel caso di specie) dal quale - il protagonista di tante lotte per la legalità - si sente tradito e da qui la decisione di chiudere con la politicae di non ricandidarsi mai più. “Non ho più voglia di fare politica - dichiara Franco Saragò - e non intendo ricandidarmi. Volevo solo ripristinare la verità ed i giudici mi hanno dato ragione. E’ incomprensibile, però, del perché una parte dello Stato mi abbia fatto tutto questo, mi sento tradito e la mia esperienza politica finisce qui. Mi ero candidato alle elezioni del 2011 contro la lista di Pino Giuliano sapendo che avrei perso, ma intendevo comunque portare dento il Consiglio comunale tante battaglie contro un certo modo di famministrare e di fare politica. E’ stato un calvario, e dentro sono devastato - racconta Saragò - essendomi sempre battuto per la legalità pagando un prezzo altissimo”. Come l’incendio delle sue autovetture che le risultanze investigative delle inchieste antimafia hanno accertato essere state compiute dai clan per le sue battaglie a favore della trasparenza. "Ho subito un’ingiustizia indicibile - ha concluso Saragò - e provo un grande rammarico”. Ancora più significativo altro passaggio della sentenza: “La candidatura di Saragò a sindaco della lista sconfitta nelle elezioni del 2011 dalla compagine di Giuliano, non risulta aver ricevuto alcun beneficio dalla richiesta dello zio”, anziano sacerdote che si è recato a Limbadi a casa del boss Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta”, per cercare voti in favore del nipote, ottenendo però un diniego dalla famiglia del boss. “L’evento - spiega la Corte d’Appello - è rimasto isolato e privo di effetti”.  

 

Si conclude così una vicenda per la quale si pongono ora una serie di interrogativi in ordine alla corretta lettura degli atti da parte del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Vibo. Il “caso” Ricadi, infatti, è unico nel suo genere in materia di scioglimenti di Consigli comunali per infiltrazioni mafiose nel Vibonese. A fronte infatti di uno scioglimento confermato sia dal Tar che dal Consiglio di Stato (e quindi definitivo) per gravi infiltrazioni mafiose, la richiesta di incandidabilità del Ministero dell’Interno è arrivata anche nei confronti di un consigliere comunale di minoranza, come Franco Saragò, che ora i giudici descrivono in sentenza come impegnato in “attività improntate alla legalità e di lotta alla criminalità organizzata”. Ma non è arrivata nei confronti di tanti altri amministratori di Ricadi le cui condotte sono citate - sia nella relazione di scioglimento della Prefettura di Vibo, sia in quella del Ministero dell’Interno e sia nelle sentenze del Tar e del Consiglio di Stato - come causa dello scioglimento per infiltrazioni mafiose degli organi elettivi del Comune di Ricadi.