«Il gruppo di Barcellona si è interfacciato con gruppi criminali calabresi storicamente operanti nel settore del narcotraffico, quali quello dei Nirta-Strangio e Giorgi di San Luca nonché quello degli Alvaro di Sinopoli, a chiara dimostrazione della capacità del sodalizio di relazionarsi con fornitori che operano in maniera monopolistica nella gestione del traffico degli stupefacenti».

Lo scrive il giudice per le indagini preliminari Ornella Pastore che ha firmato una delle tre ordinanze di custodia cautelare emesse oggi su richiesta della Dda di Messina contro la cosca dei "barcellonesi" operante sul versante tirrenico della provincia peloritana. Tra gli arrestati in carcere ci sono anche alcuni reggini come Antonino Falcone, originario di Scilla, accusato di traffico di droga.

A lui Ottavio Imbesi, esponente di spicco della cosca di Barcellona Pozzo di Gotto, deceduto nel marzo 2021, raccontò «di aver avviato anche degli accordi di massima in carcere durante una comune detenzione» con esponenti della cosca Alvaro. Fondamentali per i carabinieri che hanno condotto le indagini si sono rivelate le intercettazioni telefoniche e ambientali grazie alle quali i pm hanno documentato come la cosca di Barcellona Pozzo di Gotto sia stata in grado di «rivolgersi a vari trafficanti operanti sia nel catanese che in Calabria».

Nell'ordinanza di custodia cautelare si fa riferimento anche ad alcuni personaggi residenti nella zona nord Reggio. In particolare si fa riferimento a un "commerciante di frutta" in grado di far arrivare dalla Calabria in Sicilia forniture di stupefacente. In una conversazione con Imbesi che chiedeva se i fornitori fossero i Giorgi di San Luca, il commerciante «rispondeva che si trattava di un amico, socio di tale Giovanni, indicato come il figlio di Alvaro».

In un'altra intercettazione, l'arrestato Mariano Foti ha fatto riferimento al «suo fornitore precisando che era di San Luca e indicandolo poi in Paolo Nirta». Cognato di Giovanni Strangio, coinvolto nella strage di Duisburg del 2007, Paolo Nirta non risulterebbe indagato e, all'epoca, era ai domiciliari a Roma. I barcellonesi lo sapevano ma sapevano pure che Nirta era «quello che comanda più di tutti, il capo bastone».