Era lo scudo di suo nonno, Giuseppe Iannicelli,  pusher nella sibaritide, quasi pentito,  e scomodo agli Abbruzzese.  Ieri, nel carcere di Castrovillari, i due presunti killer, “topo” e “panzetta”, così si facevano chiamare , Cosimo Donato e Faustino Campilongo, rigettano le accuse. I due  indagati, in presenza del loro avvocato Vittorio Franco, nell’interrogatorio di garanzia davanti al Gip, si difendono. Uno si avvale della facoltà di non rispondere, l’altro nega l’accusa di  triplice omicidio e distruzione di cadavere. Resta comunque da chiarire quel 16 gennaio scorso, in cui morirono tre persone, crivellate in testa con una pistola calibro 7.65 e poi dati alle fiamme nella loro fiat Punto.  Secondo le parziali indagini condotte dalla Dda di Catanzaro, assieme ai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza,furono proprio i due dipendenti-affiliati di  Iannicelli, gli esecutori materiali del delitto, probabilmente commissionato dai vertici del clan Abbruzzese. Iannicelli infatti era passato con il clan dei Forastefano. L’unica certezza nelle indagini è quella  moneta da cinquanta centesimi gettata sull’auto incendiata. Si tratta senza dubbio di un delitto di mafia.

Rossana Muraca