CATANZARO - I giudici del tribunale del riesame discuteranno  il prossimo 17 giugno dell’arresto di don Salvatore Santaguida. In quella data i magistrati prenderanno in considerazione la richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia che ha fatto ricorso contro il rigetto delle misure cautelari per il sacerdote che attualmente celebra a Pizzo Calabro, da parte del gip Maria Rosaria di Girolamo.

L’accusa. Il prete è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti, avrebbe agevolato l’attività del clan Patania, i cui principali esponenti sono finiti in manette a seguito della sanguinosa faida scaturita dopo la morte del boss Fortunato Patania.

 

La faida. Una carneficina orchestrata, a sentire gli investigatori, dai congiunti del defunto capo-bastone di Stefanaconi

 

Le indagini della DDA. Le indagini eseguite dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro hanno portato a diverse operazioni e a una serie di arresti. Tra le persone che secondo il pubblico ministero Simona Rossi sarebbe stato necessario recludere in cella,  anche l’ex parroco del piccolo centro alle porte di Vibo Valentia.

 

La decisione del GIP. Il giudice per le indagini preliminari non ha però ravvisato nel caso del sacerdote, da tempo allontanato da Stefanaconi, i gravi indizi di colpevolezza.

 

I collaboratori di giustizia. Il ricorso dell’accusa fa leva, adesso, soprattutto sulle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Loredana Patania, nipote del defunto boss e il suo compagno Daniele Bono. Sarebbero stati loro a sottolineare in modo ‘ chiaro, puntuale e coerente’ a giudizio del pubblico ministero, ‘ l’avversione nutrita dal don Salvatore Santaguida e dal maresciallo Sebastiano Cannizzaro, già in carcere, nei confronti della cosca Bonavota’ contro i cui esponenti avrebbero agito  i Patania, peraltro a conoscenza – puntualizza Simona Rossi –  di intercettazioni coperte da segreto istruttorio’.