Rese note le motivazioni con cui lo scorso 27 settembre il Tribunale del Riesame aveva revocato gli arresti domiciliari al sindaco di Rende, indagato nell’ultima operazione della Dda di Catanzaro contro le cosche cosentine (ASCOLTA L'AUDIO)
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Rese note le motivazioni con un cui un mese e mezzo fa i giudici di Catanzaro hanno revocato gli arresti domiciliari al sindaco di Rende coinvolto nell’inchiesta della Dda sulla ’ndrangheta cosentina
Non c’è alcuna prova di un accordo elettorale tra Marcello Manna e la cellula rendese del clan Lanzino guidata da Adolfo D’Ambrosio. Anzi, dalle intercettazioni emergono anche indizi il disinteresse del gruppo criminale «a veicolare voti suo in favore». Sono queste, in sintesi, le ragioni per cui lo scorso 27 settembre il Tribunale del Riesame ha revocato gli arresti domiciliari al sindaco di Rende indagato anche lui nell’ultima operazione della Dda di Catanzaro contro le cosche cosentine. Un mese e mezzo dopo, sono state rese note le motivazioni di quel provvedimento.
Un capitolo dell’inchiesta, infatti, è dedicato proprio alle vicissitudini rendesi, in particolare alle ultime elezioni che hanno sancito la riconferma di Manna alla carica di primo cittadino. Il sospetto degli inquirenti era che il suo trionfo fosse passato anche dal sostegno elettorale ricevuto dai fratelli Adolfo e Massimo D’Ambrosio all’epoca interessati a ottenere la gestione del locale Palazzetto dello sport. Per i giudici di Catanzaro, dalle indagini emerge sì «un’effettiva vicinanza tra Manna e D’Ambrosio», ma nulla che dimostri un’eventuale «scambio di promesse» sancito fra le due parti. Il Tribunale, infatti, rileva come da un lato debba esserci una promessa di voti, dall’altro quella di denaro o altre utilità, ma nel caso in questione emergono addirittura «elementi contrari alla sussistenza di tale sinallagma».
Non a caso, da alcune intercettazioni, il collegio presieduto dal giudice Filippo Aragona rileva come l’interesse elettorale di D’Ambrosio fosse rivolto a Pino Munno - l’ex assessore anche lui fra gli odierni indagati - ma non all’allora candidato a sindaco per il quale in una circostanza riserva parole «negative», ma di cui più in generale pare «disinteressarsi».
Quelle della ’ndrangheta rendese, dunque, potrebbero essere state solo aspettative di vantaggi accarezzate magari all’insaputa dello stesso candidato a sindaco, o comunque senza che quest’ultimo si sia impegnato in alcun modo a soddisfarle. È vero che Massimo D’Ambrosio e Marcello Manna si sono incontrati nel suo studio legale, ma non sono emersi «fattori specifici» dai quali dedurre che il primo si fosse impegnato «a far confluire voti» verso l’avvocato penalista.