I bisnonni dell'amministratore non avevano lasciato disposizioni ereditarie sul luogo che ospita i loro corpi: il falso documento venne redatto con l'aiuto dell'ex custode, ma il piano non andò in porto per via della perquisizione dei carabinieri
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Nel cimitero di Cittanova poteva accadere di tutto: loculi sventrati e rivenduti al migliore offerente, esami medico-legali eseguiti in contumacia, speculazioni edilizie private su beni pubblici, persino finti testamenti da protocollare in Comune per formalizzare la (finta) proprietà di una cappella gentilizia. Come nel caso dell’assessore all’ambiente (e al settore cimiteriale) di Cittanova Giò Marchese, finito tra gli indagati – per lui il pm aveva chiesto la misura degli arresti domiciliari respinta dal gip – per avere tentato un maccheronico espediente in grado di fargli ottenere la proprietà di una cappella appartenuta ad alcuni suoi avi. Una vicenda paradossale ma che chiarisce il grado di inferenza di cui era capace l’associazione che si era appropriata del camposanto gestendolo «come un'impresa privata».
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Sul piatto c’è un’edicola funeraria in concessione ai bisnonni dell’assessore. Morti da più da 40 anni, i due anziani avi di Marchese non avevano lasciato disposizioni ereditarie rispetto alla cappella che ospita i loro corpi. Una mancanza che il giovane assessore, grazie all’aiuto indispensabile del responsabile dei servizi cimiteriali del Comune, Franco Ligato, aveva pensato di colmare aggiungendo un finto testamento olografo retrodatato da inserire nel fascicolo custodito in Comune. Un finto testamento che, per andare sul sicuro, doveva essere affiancato da un finto protocollo comunale, da ricreare ad hoc con fogli e timbri recuperati da vecchi archivi. Un piano cervellotico che non è andato in porto – annota il gip nelle oltre 2000 pagine di ordinanza – solo per via della perquisizione effettuata dai carabinieri quando tutto era ormai pronto.
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«È nostro desiderio e volontà – annotano i due indagati predisponendo la “brutta” del documento da aggiungere al fascicolo – che alla nostra dipartita per quando sarà, l’intero manufatto venga gestito da…»: ci vogliono un paio di incontri tra Marchese e Ligato (tutti ripresi dalle telecamere dei carabinieri) per stilare il modello di finto testamento migliore da inserire nel fascicolo. Il documento però non può essere scritto a mano. Un problema che Ligato sa come risolvere: «Però volevo scriverla non con calligrafia mia o tua – dice Ligato durante uno degli incontri – volevo scriverla con calligrafia di macchina da scrivere… se il nastro gira… queste quattro righe vorrei farle con una macchina… una macchina di quelle di una volta… quella voglio trovarla io».
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E se per essere credibile il finto testamento deve essere scritto con una vetusta macchina per scrivere (il documento deve sembrare redatto alla fine degli anni ’70) anche la carta utilizzata deve sembrare altrettanto vecchia. Un problema che Ligato non si pone neanche. Serve un foglio di protocollo «rigato e sbarrato», di quelli che si utilizzavano un tempo per le scritture private (foglio, con tanto di marca da bollo da 3000 lire stampata in filigrana, poi ritrovato in seguito alle perquisizioni dei carabinieri). Nessun problema: «Te li ho portati io i fogli di protocollo» dice Marchese.