C’è anche l’ex vice presidente del consiglio regionale Francesco D’Agostino, fra le 46 persone per le quali la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta “Alchemia”.

 

Nei giorni scorsi i pubblici ministeri Roberto Di Palma e Giulia Pantano hanno chiesto il processo, con udienza fissata davanti al gup per il 20 aprile prossimo.

 

D’Agostino è accusato di intestazione fittizia di beni, aggrava dall’aver favorito la ‘ndrangheta. Secondo i magistrati, infatti, il patron dell’azienda “Stocco e stocco” di Cittanova, sarebbe un prestanome della cosca Gullace di Cittanova. D’Agostino deve rispondere del reato in concorso con Girolamo Giovinazzo, Francesco Gullace e Girolamo Raso (che però è deceduto).

 

L’ex vice presidente del Consiglio avrebbe avuto l’intestazione solo formale dell’azienda che, invece sarebbe riconducibile esclusivamente a Jimmy Giovinazzo e Francesco Gullace.

 

C’è da rimarcare, però, come in sede di provvedimento cautelare, il gip non condivise la prospettazione accusatoria, non ravvisando l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di D’Agostino che, infatti, oggi si trova ad affrontare l’udienza preliminare nella veste di imputato a piede libero. Ecco cosa scrive a tale proposito il gip Barbara Bennato: «L’assunto accusatorio non è condivisibile, essendo dalle indagini emersa una immanente accessibilità all’azienda da parte degli indagati, leggibile piuttosto attraverso la contestualizzazione dell’attività aziendale esercitata in territori nei quali, nulla si muove ed alcuna iniziativa si intraprende senza il controllo delle cosche ivi imperanti che, anche nel corso della gestione delle imprese, non lesinano di atteggiarsi a “padroni” della stessa, le cui prestazioni e partecipazione sono gratuitamente dovute, in forza di un genetico compromesso».

 

D’Agostino, che si è sempre proclamato innocente, deve ora affrontare lo scoglio dell’udienza preliminare in un’inchiesta che ha visto coinvolti anche altri personaggi politici di rilievo, come il senatore Antonio Caridi. Secondo quanto hanno ricostruito gli inquirenti, il senatore, in occasione della tornata elettorale delle regionali 2010, sarebbe stato presente nel momento in cui uno degli arrestati, Jimmy Giovinazzo, chiese ai suoi dipendenti di votare Caridi alle elezioni. Ma non lo fece con serenità e calma. No, lo intimò pena l’eventuale licenziamento. Insomma, dipendenti e famigliari avrebbero dovuto apporre il nome di Caridi sulla scheda per continuare a conservare il posto di lavoro. È stato posto in luce, fra l’altro, come l’attività del politico di centrodestra sia stata completamente asservita agli interessi della cosca. Non solo incontri occasionali, non solo piccoli favori, ma proprio un modo di operare totalmente piegato al volere della ‘ndrangheta. Imputazione per la quale, però, non fu emessa misura cautelare, ritenendo il tutto assorbito nell’inchiesta “Mamma santissima”, per la quale Caridi si trova oggi a processo davanti al Tribunale di Reggio Calabria.

 

L'elenco delle persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio:

 

Adolfo Barone

Agrippino Sipala

Alfredo Beniamino Ammiragli

Annunziato Vazzana

Antonino Raso

Antonio Fameli

Antonio Galluccio

Antonio Pronesti

Antonio Pugliese

Antonio Raso

Candeloro Gagliostro

Candeloro Parrello

Carmelo Gagliostro

Carmelo Gullace

D’Amico Vincenzo

Demetrio Rossini

Elio Gullace

Fabrizio Accame

Fortunata Militano

Fortunato Caminiti

Francesca Politi

Francesco D’Agostino

Francesco Gullace

Gabriele Parisi

Giampaolo Sutto

Girolama Politi

Girolamo Giovinazzo

Giulia Fazzari

Giuseppe Raso

Luigi Taiano

Marco Parrello

Marianna Grutteria

Massimiliano Corsetti

Michele Albanese

Orlando Sofio

Pantaleone Contarese

Pietro Giovanni Barone

Pietro Pirrello

Rita Fazzari

Roberto Orlando

Rocco Filippone

Rocco Politi

Rosario Politi

Salvatore Mazzei

Salvatore Orlando

Vincenzo Zoccoli

 

 c. m.